Piedi di giglio, la tortura inflitta alle donne dell’Impero cinese

In genere si guarda alla cultura imperiale cinese con certa curiosità, attratti da quel fascino esotico del Confucianesimo e della dottrina filosofica del Taoismo che vede un ordine perfetto nel mondo attraverso la complementarietà dello Yin e dello Yang. Affinché il mondo vada bene è indispensabile l’equilibrio cosmico così come quello all’interno della società e della famiglia. Riassunto spicciolo delle teorie di Confucio.

Un aspetto, però, vale la pena sottolineare: la filosofia taoista dell’equilibrio tra Yin e Yang è fortemente misogina. Secondo letterati dell’epoca lo Yin rappresentava la parte femminile mentre lo Yang quella maschile. Quest’ultima era vista come il paradiso, come la forza creatrice e fonte di luce, mentre lo Yin rappresentava l’oscurità e il principio passivo. Le due forze che attraversano il cosmo, quindi, si completano ma non allo stesso modo: è iscritta nell’ordine naturale delle cose la netta distinzione tra uomo e donna. In poche parole anche in Cina, dopo secoli di organizzazioni matriarcali, arriva l’Impero e a fimmina un cuntau cchiu nenti.

“Auguri e figli maschi” si diceva anche da noi, vista l’inutilità inflitta alla donna all’interno della società occidentale di stampo patriarcale e maschilista. In Cina era veramente una disgrazia se nasceva una figlia femmina: una disgrazia per la madre, che in questo modo a quanto pare non adempiva ai doveri coniugali, e per la famiglia in generale che si vedeva ‘sta creatura sul groppone che doveva sfamare e poi perdere dandola in moglie a qualcun altro. Le figlie femmine non avevano un nome, veniva assegnato loro un numero, non godevano di patrimonio ed erano trattate come merce di scambio. Nelle famiglie meno abbienti, le fanciulle venivano vendute ai bordelli o date come concubine di personaggi di rilievo. L’unico scopo della vita di una ragazza era il matrimonio, arrangiato naturalmente, e più alta era la dote più la famiglia aveva la possibilità di elevarsi socialmente. Naturalmente nulla di tutto questo era deciso né destinato alla donna che si ritrova sempre e comunque in un meccanismo di subordinazione e dipendenza dall’uomo.

Secondo Confucio la condotta femminile risiedeva nelle 3 obbedienze e 4 virtù. Le tre obbedienze erano quelle al padre, al marito e ai figli maschi. Le quattro virtù dicevano che: 1) la donna deve sempre sapere qual è il suo posto, ovvero di sottomissione; 2) non deve parlare troppo e annoiare il marito; 3) deve svolgere tutti i lavori di casa; 4) deve farsi bella per piacere all’uomo.

Quest’ultima virtù è quella che ha portato a svolgere per millenni una pratica crudele e dolorosissima per le ragazze in Cina, la “fasciatura dei piedi“. All’età di 5 anni, infatti, alle bambine cinesi venivano fasciati i piedi affinché se ne evitasse la crescita. Il piedino piccolo e aggraziato, incurvato e avvolto in scarpette ricamate era un canone di bellezza tipico della società dell’epoca. Canone che rifletteva l’immaginario erotico in cui il desiderio maschile era intriso di fantasie sulla passività femminile.

Questa pratica era legittimata moralmente in quanto il ruolo della donna era identificato nello spazio privato e domestico: i piedi fasciati rendevano impossibile la deambulazione e limitavano fisicamente – nonché psicologicamente – il movimento femminile e quindi la sua presenza all’esterno.

Attenzione! Il metodo adottato può avere effetti collaterali tra cui ulcere, paralisi, cancrene e modifica degli arti inferiori nonché, in alcuni casi estremi, la morte. Prima della somministrazione consultare il vostro medico di fiducia.

Ma vi immaginate? Il piede era soggetto a una forzata e continua pressione: si comprimeva il piede e si incurvavano le dita al fine di ripiegarle sotto la pianta e di riavvicinare la pianta stessa al tallone fino al limite del possibile. Nel portale “Tuttocina.it” si legge che Adele M. Fielde, una missionaria vissuta verso la fine dell’800, raccontava che

“Durante il processo la carne andava spesso in putrefazione, parti della pianta si squamavano e a volte cadevano una o più dita. Il dolore persisteva per circa un anno e quindi diminuiva d’intensità, finché, verso la fine del secondo anno, i piedi perdevano ogni sensibilità e risultavano praticamente morti”.

Il piede definito “loto d’oro” doveva essere lungo 8 centimetri o addirittura meno. “Luna nuova” stava a indicare un piede fasciato, elegante, snello e affusolato racchiuso in calze di seta. “Giovane bambù di giada” era il piede piccolo, caldo, lucente e soffice come giada, e con la punta aguzza simile a un esile virgulto di bambù. Feticismi dolorosi! Le donne che non avevano i piedi fasciati (di estrazione sociale bassa e costrette a lavorare i campi) venivano chiamate “barche a cornacchia”. Così, aggratiss!

Questa pratica, comunque, si andò abbandonando con l’arrivo dei coloni britannici a fine ‘800 che puntarono il dito sull’arretratezza e la barbarie dei costumi cinesi ma fu veramente abolita solo dopo la fondazione della Repubblica Popolare Cinese.

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