Oblivion

di Dora Pistillo

Come fanno le labbra a pulsare così tanto? Come fanno a bruciare così tanto? Come riescono a incresparsi così? Schiudersi così? Come fa l’aria a passare appena, tra le fessure dei denti e produrre piccole nuvole che si dissolvono nell’aria fredda? Stringo le spalle, che fortuna avere questi abiti, eppure sento un gelo al collo. Le mani affondate nelle tasche e la sensazione ch’io in realtà stia vivendo altrove e qui ci sia solo una parte di me.

L’altra me è altrove, un altrove che non so dire, ma sicuro sto baciando. Perché le labbra son dolenti come quando il freddo le ferisce e s’increspano e si distendono per schiudersi cercando di non dilatare il taglio. Baciano il palmo di una mano, quella che una volta credevo fosse la piccola piazza di un villaggio di pescatori sull’oceano. Baciano una piccola ruga a lato, vicino l’orecchio. Sento le suole che calpestano le lastre che tracciano la via più battuta di giorno. Quasi scivolo, cercando un passo di danza. Luce fioca della sera, silenzio accompagnato dal fruscio del berretto che preme sul collo della giacca, l’andirivieni del collo che vorrebbe proteggersi e non riesce. So che l’altra me ha il collo coperto da baci baffuti. Ho sempre pensato che da vecchia avrei iniziato a fumare la pipa. Come quella donna con una mappa di rughe che conducevano alla felicità nascosta in un cappello andino. Percorro con l’indice i segni delle cuciture nella tasca. Penso all’altra me che non si domanda dove io sia. Tra poche ore è giorno e i miei piedi pellegrini troveranno riposo tornata a casa. Ma ora bisogna camminare. Che strano scherzo perdere l’ultimo mezzo della sera. Ma le scelte una o le fa o non le fa. Perché allora scelsi di andar via da dov’eravamo? Forse speravo mi fermassi. Eppure sento battere il cuore come allora e sapevo che non mi avresti fermata. Sento il cuore battere nella nuca, nei polsi, nel ventre, tra le cosce e nelle dita dei piedi. Socchiudo gli occhi un istante solo e sono li con te. Con i palmi delle mani e una piccola ruga a lato, vicino l’orecchio. Che belle le tue ciglia, il colore della tua pelle e l’indirizzo del tuo naso. Come quella volta che osservasti il mio modo di lavare i bicchieri. E sento il mio cuore pulsare. Sento tutte le lastre fare eco al battito del mio cuore. Che idiozia non avere una sciarpa. Piccoli ciuffi di capelli che ospitano goccioline di fiato condensato. Ma di chi è il mio fiato se non di te? Ma chi mai potrebbe capire il mio respiro? Come vorrei tutto questo finisse, tutta questa triste evanescenza, tutto questo sudore gelato di un corpo che si brucia per scaldarsi, tutti questi ricordi e tutto questo fluire di sangue nelle vene che costringe il mio cuore a pompare come un vecchio contadino russo in un vecchio film muto. Oblio, gratto con l’unghia del pollice la piccola scucitura nel fodero della tasca, così potranno nascondersi piccole monete e qualche carta di caramella. Il ritmo delle mie gambe è ininterrotto, nessun pensiero lo rallenta ed i polpacci vanno fluidi ed esperti nel muoversi. I piedi spediti nelle scarpe un po’ consumate, sento i piedi umidi. Ma che importa, io sono altrove, bacio l’angolo del sopracciglio. Non ho capito, non so se sapresti spiegarlo, com’è che non mi trovo dov’eravamo? Com’è che non vedo intorno la via con le porte colorate? Bacio di nascosto il collo della tua maglietta sudata, quella che è sulla sedia nella stanza in cui dormo, lontana anni luce da dov’eravamo. Sento le labbra bruciare. Tra pochi minuti il sole s’innalza e sto per andare sotto le coperte. I piedi gelati. Quando mi alzerò farò una doccia calda. Sento pulsare il mio cuore, dietro le ginocchia. Lo sento battere forte tra le nocche delle mani, le palpebre che non sanno se sono aperte o chiuse. Batte nell’incavo dell’ascella, dietro l’orecchio su cui ricadono i capelli. Come mai non sono dov’eravamo?

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