Storytelling – Agonia

Chissà quali sarebbero gli ultimi pensieri di uno scarafaggio in agonia. Lei è lì a pancia in su. È lì da ieri: ogni volta che entro in bagno e la vedo mi dico “la prossima volta che entro porto scopa e paletta” così da raccoglierla e buttarla dignitosamente nel cesso. Puntualmente me ne dimentico ogni volta.

Questa è una di quelle volte. Sto cagando, la guardo con espressione schifata, un po’ per lei un po’ per lo sforzo di strizzare il colon. Muove le antenne, il veleno non l’ha ancora uccisa del tutto, “dovrei darle il colpo di grazia e mettere fine alla sua agonia?”, mi chiedo, ma il bidè mi distrae.

Chissà com’è sentirsi in agonia, quando il veleno o la fame o la guerra ti stanno uccidendo. Penso a chi, per scappare dai veleni o dalle bombe, intraprende un viaggio lungo strade ed acque ostili per tentare di raggiungere la salvezza. Lei avrà fiutato il cibo e l’avrà mangiato: è stata tradita. Tradita dalla sua necessità primordiale di nutrirsi per la sopravvivenza. Anche loro sono spinti dalla stessa necessità e, come lei, possono trovare trappole lungo il cammino, che sia una barca che non può approdare o un confine che non si fa attraversare.

Tiro su i pantaloni, attraverso il bagno ed esco lasciandola lì in agonia. Chissà se a quest’ora sarà morta o se sarà ancora a pancia in su a muovere le antenne in attesa di un destino che sicuramente non era quello che aveva sperato perché ormai la speranza l’avrà diretta verso l’arrivo di una fine che faccia cessare questa agonia.

La speranza è ciò che ci muove, ciò che ci spinge ad entrare nelle trappole. Che insensibile, la frettolosa me che, spinta dalla necessità primordiale di evacuare, la guarda e non agisce! Mi rimprovero il mio comportamento al ripensarci. Ma lei è solo una blatta. Chi guarda e non agisce, invece, nei confronti di quegli altri che sono persone meriterebbe la fine agognata della mia cara blatta, la fine dello sciacquone.

2 thoughts on “Storytelling – Agonia

  1. Mi colpiscono il paragone ardito, che sia una “lei” e la metafora dell’evacuazione.

    Evacuiamo tutti le cose non digerite, come psicologicamente evacuiamo le cose e le persone che non ci piacciono… E ci trastulliamo nel pensarle blatte. “Lei” lo era davvero?

    Forte! Brava!

    • Si tratta di una “lei” perché in spagnolo “la cucaracha” è femmina! Inconsciamente avrò fatto un lavoro linguistico di trasposizione del significato… ahahah

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