Pan-Cura

Ho visto Nomadland.
L’ho trovato poetico, così che dirne qualcosa potrebbe rischiare di sfigurarne la delicatezza. Eppure se ne potrebbero dire e pensare, ovviamente a partire dal senso del lavoro e dell’umano in un certo mondo che è il nostro…
Credo che il film questo lo esprima senza bisogno di parole in più e di intellettualizzazioni… E fa pure una cosa straordinaria: senza polemiche, mostra tragedie sociali e ipotizza quella rivoluzione interiore ed esteriore che ci siamo persi: l’incontro con l’Altro che fa comunità. Là dove ci siamo dimenticati della mano che può lavare l’altra mano, là dove potrebbero esserci depressioni, addiacci, atomizzazioni pesanti… là crea un falò e una distribuzione dei beni superflui. Là dove c’è infelicità e resti umani della produzione (“umani”, appunto), valorizza scambi, risorse, cura, mondo. Questo lo trovo commovente, cioè in grado di muovermi qualcosa dentro. Lo sento prezioso e raro. E mi cura.

La protagonista di Nomadland (o una delle) mi sembra la “natura” ritrovata da chi – essendo considerato scarto o umano a tempo limitato, temporaneo, stagionale – non può/non vuole (?) so-stare in una casa (fisica e psichica) per tutta la vita e può per questo vederla. Ci sono scene dolcissime e “naturali”, che stanno nel mondo ma che noi trascuriamo, che sono alla portata di tutti: i tramonti, le meraviglie del mondo, gli uccellini e le loro uova, l’acqua che scorre. Da tempo studio le cure palliative… calde, accoglienti, come il pallio. In grado di alleviare il dolore. Certe scene fanno questo e lo fanno per una donna ammalata non a caso… Ma anche per i nostri occhi dolenti dietro lo schermo.

E poi? Cosa farcene a telecomandi spenti e riposti nelle tasche del divano?

Ho scritto spesso che ci siamo persi.
Io a volte mi ritrovo nelle zucchine appena cresciute nel mio orto, nella mia pianta spontanea di pomodorini che ho chiamato “Dio” per la potenza e la bontà con cui ci dona nutrimento da 1 anno. Come si vive a non aver mai visto un serpente nuotare? Come a non aver mai visto crescere una melanzana?

Oggi, grazie a un’amica che ringrazio per la voglia e volontà di esplorare il mondo che con-divide, sono stata alle cascate di San Nicola. Da casa mia una oretta. Sono stupende! Potenti e dietro l’angolo! Lì ho visto il serpentello e i cactus perfettamente inerpicati sulle rocce a rendere tutto bello e vivo, le valli miracolosamente incastrate tra loro e i rumori delle rane (dal vivo e non in tv)… Chi lo avrebbe immaginato? Non è una colpa non immaginarlo, ma forse sì se non apriamo gli occhi di fronte a certi sistemi di produzione che ci sfiancano e annullano talmente tanto da toglierci la forza di immaginare. Ero anche io così, piena di curiosità e di desiderio, prima di essere perennemente stanca. Per fortuna esistono gli Altri… E così ho potuto meravigliarmi. Marcuse parlava dell’immaginazione al potere: cos’altro è, se non questa potenza erotica, amorevole verso il mondo e per questo rivoluzionaria?

Ci siamo persi, ma ci si può ritrovare… Se rivediamo il nostro sistema di valori.

Anche la cura della CULTURA (cultura della produzione, cultura dei veri bisogni e dei sogni!) è Cura con la “C” maiuscola! Il problema, infatti, è come pensiamo alla vita…

Diceva un mio mentore, “la vita è cura, la vita ha bisogno della cura, non c’è vita senza cura! L’umano prevede la cura, che è una PAN-CURA, una “cura di tutto”: delle cose, del mondo, dei simboli. E questo vale per tutti e a tutti i livelli, non solo entro dispositivi tecnico-specialistici, medici, sanitari, psicologici!”.

Pensa che grande rivoluzione planetaria ci sarebbe se milioni di ragazzi di tutte le parti del mondo con i loro zaini sulle spalle cominciassero ad andare in giro per la natura”
(Jack Kerouac).

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