“Campioni”

Le prodezze di Jorginho
Ryanair e l’olio prodigioso
Il giocatore sontuoso
L’offerta imperdibile
L’affare del secolo
Il mocio di cui non potrete più fare a meno

Etc.

Nanni Moretti ce lo ripete da decenni, e quindi da un po’ insorgo facile su cose del tipo di cui sopra. Perché se è vero che quando una cosa l’abbiamo fradicia in testa, poi la svalorizziamo e smettiamo di attenzionarla adeguatamente, è pur vero che non possiamo non chiederci cosa comporti il bombardamento che le nostre vite subiscono da parte di frasi come “L’Italia è tornata grande”.

Non è una questione di basso rango o di fastidio per fastidio. Non è una questione “tanto per” con cui riempire la pagina di open office (tipo quelle sulle proprietà psicopatologiche del caffé che recentemente riempiono un ex-quotidiano). Le parole, diceva Lacan, fondano il nostro modo di pensare, il nostro inconscio, e – da qui – i bisogni che sentiamo, per dirne una. I nostri modi di stare nel mondo, insomma. Ad esempio, orientano le nostre abitudini di acquisto o le nostre credenze e i nostri miti!

…Cosa dovrebbe desiderare un bambino di oggi per la sua vita? Se “L’Italia è tornata grande” vincendo a calcio e le prodezze o le robe prodigiose sono quelle di un giocatore di pallone o di un olio, che altro dovrebbe desiderare un bambino di oggi, se non diventare famoso o un famoso acquirente? Per osmosi, così anche lui diventerà “prodigioso”!
E cosa dovrebbe pensare quel bambino della sofferenza quando i commentatori televisivi in mondovisione affermano cose come “E’ una sofferenza totale per Bonucci”?

Io vorrei che voi sapeste che sono una tifosa che tiene pure anche alle interviste post-partita, probabilmente per una qualche forma arcaica di entusiasmo preadolescenziale legata al “Divin Codino”, a Sacchi e a Italia ’90. Domenica ho festeggiato per 37 minuti sul corso del paese in cui vivo, ripopolatosi magicamente per l’occasione, sgolandomi sulle canzoncine collettive e rischiando le caviglie sui tacchi per saltellare di gioia per noi che siamo “campioni” europei. C’è bisogno di gioire, di leggerezza, ci sta. E’ stato un anno duro per tutti e, come scrivono qua e là, questi europei ci hanno come “riscattato” di “tutte” (?) le privazioni da pandemia: gli eccessi di gioia ci stanno, i camion sul corso di Cinisi ci stanno, le urla e i balli, i corridori nudi, le bandiere, i bambini vestiti a tricolore e sventolati sulle cappotte delle auto… ok tutto e con gioia. Ma con un pensiero addosso. Ad esempio sul “riscatto” che vogliamo, che cerchiamo, che coltiviamo. E’ tutto qui? Al massimo ora si pensa ai mondiali e alla nuova stagione calcistica? E poi un dubbio: le persone festanti e dipinte di domenica notte sono le stesse che NON sfilando ai pride chiamandole “carnevalate”? E sono le stesse che NON escono di casa per soccorrere la gente che annega in mare o per insorgere contro l’insulsa classe dirigente?

E allora ecco perché io vivo una rivolta interiore e mugugno contro le telecronache e le pubblicità che qui e lì ci dicono cosa è “sontuoso” e di cosa “non poter fare a meno”. “Siamo sul tetto d’Europa”, dicono i neo-campioni ai giornalisti. Io dico però anche “Accura con le parole”. Il linguaggio che usiamo spiega la nostra visione del mondo e della vita e la orienta in ogni momento! Contiene i crittogrammi della nostra cultura!

Perché di qui a perdere il focus sul senso delle cose è un attimo! Per cosa “Siamo sul tetto d’Europa”? Per lo sport? Sì, bello, importante, soprattutto per una squadra che dice che “è merito del gruppo”. E però poi? E’ tutto qui? Per quel bambino rischia di essere tutto qui il progetto di vita. E lo smarrimento depressivo di tutti quei giovani (e meno giovani) che – giustamente! – si aspettano di arrivare sul “tetto” di qualcosa e che poi si fermano al pianerottolo la dice lunga.

Allora festeggiamo, ma ricordiamoci di quali e quante sfilate & parole siamo stati capaci domenica notte: ricordiamocelo là dove ci giochiamo cose altrettanto e o più importanti.

Ora, per carità: capisco che questi discorsi siano “molto cheap”. O “così kitsch”… Capisco che, insomma, abbiamo vinto gli Europei, e che quindi Peppepeppepepé. Ma insomma, così è: penso a quel bambino di oggi, pubblico tutto e non rinnego niente. Amen.

Chi parla male, pensa male e vive male.
Bisogna trovare le parole giuste:
le parole sono importanti!”
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2 thoughts on ““Campioni”

  1. Molto d’accordo con te. Commentavamo con mio padre (con cui ho condiviso il tifo e in certi attimi anche molta tensione) che “Alla fine a noi che ce ne viene se l’Italia vince o perde?”. Certo, il risvegliato patriottismo (mio, ma soprattutto degli altri) mi fa piacere, ma è tutto molto effimero. Mi dispiace invece che alcuni tifosi trasformino la gioia in vandalismo e la condivisione in assembramenti menefreghisti.

    L’Inghilterra, seppure in casa con un tifo molto di parte, hanno giocato una buona partita, e hanno perso in modo dignitoso contro una superiore Italia (che invece meritava meno della Spagna battuta ai rigori). Capisco la delusione, però lo sport è anche arrivare secondi e applaudire chi vince (peraltro come dovrebbe fare un buon ospite con chi viene ospitato).

    Mi dispiace soprattutto che lo sport a Londra abbia perso ancora il suo senso:
    1) I fischi dei tifosi all’Inno di Mameli.
    2) I giocatori che si inginocchiano per “Black lives matter”, poi però in molti sentenziano che la colpa è dei “3 Nigeriani” che hanno sbagliato i rigori, emoticon di scimmiette incluse.
    3) All’uscita dallo stadio alcuni tifosi inglesi pestano in massa i tifosi italiani che escono ad uno ad uno (ma la Police dov’è?).
    4) I giocatori inglesi che si sfilano la medaglia d’argento dal collo ad uno ad uno in segno di non accettazione del secondo posto

    Questo non è lo sport che vorrei.

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