L’Adatto

Le guardo sempre con ammirazione, almeno da un 5 anni. Alla fine ho deciso di creare aiuole e vasetti a casa per circondarmene. Amo la bellezza delle piante grasse, la loro adattività sorprendente, la capacità che hanno di ottimizzare l’acqua in luoghi improbabili: dai balconi abbandonati, ai ruderi fatiscenti, alle rocce più secche della piena estate siciliana. Le fotografo e mi beo del loro essere opportune, eleganti, a volte anche fiorite. I fichi d’india addirittura fanno i frutti, e una cassetta costa e neanche poco! Le loro spine d’altro canto non mi fanno paura, le guardo con tenerezza e invidia. Quasi desidero essere come loro: protetta e al contempo maestosa. Eppure la mia riflessione scivola a un certo punto sull’orlo del rischio di adattamento.

Vado controcorrente, me ne rendo conto. Siamo decisamente darwiniani, avvinghiati a quell’idea che “sopravvive solo il più adatto”. “L’Adatto”… Ma chi era costui?

Il cosiddetto “spirito di adattamento” è considerato, da che sono viva, una dote fondamentale. La domanda ovviamente è relativa a come essere per possederla: biondi? Binari? Ariani? Trasgressivi? Militanti? Tatuati? Bulli? Magri? Aggressivi? Vaccinati? Laureati? Impiegati? Socializzati? Integrati? Illimitati?

I miti culturali cambiano da tribù a tribù, di paese in paese, di famiglia in famiglia. Un mio paziente che viene da Cammarata avrà caratteristiche psicosociali diverse da quella che viene da Geraci Siculo o da Catania. A volte sono sfumature, a volte no. Figuriamoci tra stati, continenti e quant’altro Una certezza del mondo occidental-capitalista che condividiamo però c’è:

La storia della vita sulla Terra, lo sappiamo, è la storia dell’adattamento all’ambiente. […] Chi non s’adattava si estingueva” (Piero Angela).

In particolare, per essere “adatti” qui bisogna aderire al “produci-consuma-crepa” (e ovviamente paga anche in questo caso!). Raggiungere “una posizione sociale generalizzata” per non essere tacciati di sottosviluppo o disadattamento e per non essere inidonei alla selezione naturale che premia l’adeguamento di un organismo, di una specie o di un sistema ambientale al modificarsi delle condizioni esterne con “l’aumento degli individui con caratteristiche ottimali per l’ambiente in cui vivono”. Dobbiamo ADATTARCI a tutto ciò, “accomodarci”. A questo ci chiamano. Spesso chiedendoci di annullare la soggettività, il pensiero critico!

Non fraintendetemi: non incito alla semplice trasgressione; almeno non a quella controdipendente che trasgredisce con rabbia perché non può avere ciò che desidera e fa capricci reattivi di rabbia e di frustrazione, per cui ci si tatua addosso il nome di un fidanzato che non si ama pur di fare uno sfregio adultescente al padre-padrone.

Incito, semmai, alla bellezza delle piante grasse: loro che vogliono stare sotto il sole della piena estate siciliana. Loro che, fiere, mostrano la vita che soccombe alla mortiferità della trascuratezza.

Non so se questo sia adattamento. Sicuramente per me l’adattamento NON è quello che chiede un genitore impositivo, uno stato massificante, un credo ideologizzante. I rischi di questo (dis)adattamento sono tanti e recentemente me li ha espressi Salvo Lipari (per raggiungere il quale mi sono inerpicata in prima per le salite di Carini con un’utilitaria milleecento – anzi: milleequarantasei – di 9 anni) con “I Numeri Di Trilussa & La Metafora Del Dittatore”:

Conterò poco, è vero:
– diceva l’Uno ar Zero –
ma tu che vali? Gnente: propio gnente.
Sia ne l’azzione come ner pensiero
rimani un coso voto e inconcrudente.
lo, invece, se me metto a capofila
de cinque zeri tale e quale a te,
lo sai quanto divento?
Centomila.
È questione de nummeri. A un dipresso
è quello che succede ar dittatore
che cresce de potenza e de valore
più so’ li zeri che je vanno appresso.

Quando scegliamo di non pensare e di adattarci ci perdiamo, diventiamo psicotici, arroganti, palloni gonfiati come l’Uno o schiacciati dall’ansia e passivi come lo Zero. Diceva allora provocatoriamente Lipari che “Noi dalle Favole prendiamo il peggio”.

Io la metterei così, rilanciando la provocazione: adattamento sì, non siamo tutti Gandhi o Biagio Conte. Ma mi è caro quello scelto, quello soggettivo, che lotta eroticamente per la bellezza di sé e non per essere uno Zero dietro un Uno o una copia conforme, un replicante, una massa informe come le forme dell’acqua.

“Chi “non si adatta al mondo” è sempre vicino a trovare se stesso. Chi si adatta al mondo non si trova mai, ma può diventare consigliere nazionale” (Hermann Hesse).

(Hasta i cactus siempre!)

One thought on “L’Adatto

  1. Le piante che si adattano, la vita che cresce dove nulla potrebbe, la natura che sovrasta i ruderi umani, sono tutti stimoli per noi che li guardiamo e li fotografiamo.

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