Il mio istinto di sopravvivenza

Pubblico tardi per l’ennesima volta. Non mi piace. Io, sempre ligia al dovere, ritardo a bozzare, ritardo a pubblicare, ritardo a scrivere. Che poi la parola “dovere” in questo caso non dovrebbe neppure venirmi in mente. Scrivere in generale e per Abattoir in particolare, è sempre stato uno dei miei life pleasure. Ultimamente ho scritto poco, mi è proprio mancata l’ispirazione. Non ho più avuto idee. Neanche adesso, in realtà, ho idea di quello che sto scrivendo.

Sapete quando a poco a poco le cose che ci circondano ci sopraffanno e non ci lasciano nessuna energia per fare le cose che ci piace fare? Cioè, magari un po’ di tempo ce l’hai ma non ti metti a fare ciò che ti piace, no? Solo per paura di rovinarlo, di farlo male, di non metterci il cuore, per paura che si trasformi in dovere. È quello che è successo a me in quest’ultimo periodo, da quando ho iniziato un nuovo lavoro. Ovviamente quando cominci a fare qualcosa di nuovo non puoi pretendere di farlo bene, è così con tutto naturalmente, ricordo quando ho cominciato a suonare la chitarra: non sapevo fare più di due accordi di seguito (non che adesso sia una virtuosa ma almeno riesco a farne 3 o 4, se sono facili).

Nuove informazioni sui prodotti dell’azienda, sugli uffici, sulle metodologie, sulle routine, sulle persone che ne fanno parte, sui partners, su quando annaffiare le piante… E la mia energia vitale scende sotto la suola delle scarpe, così come il mio umore. Anche perché tutte queste nuove informazioni da immagazzinare e assimilare non mi sono mai state spiegate ma le ho apprese per osmosi. In questo modo quando faccio una cosa, la maggior parte delle volte, non ho idea di quello che sto facendo! Ed è abbastanza frustrante. Se a questo si aggiungono i turni di dieci ore di fila, i quattro diversi uffici che mi tocca aprire e chiudere, le sfuriate di un capo, il fatto che l’altro capo ti guarda in camera come se fosse l’ultima settimana del Grande Fratello…diciamo che un attimino la situazione comincia a pesare.

Ed è lì che entra in scena il mio istinto di sopravvivenza. Tipo scena epica da film: alla prima luce del quinto giorno, dopo l’ennesima domenica di turno di apertura, all’alba guarda ad est. Ed eccolo, vestito di bianco non Gandalf su Ombromanto ma il mio sorriso serafico da psicopatica. La calma prima della tempesta, la sensazione zen, il rumore bianco. La consapevolezza che nel bene o nel male questa situazione deve finire. Ne va della mia sopravvivenza.

Il nostro cervello mette in moto degli impulsi che provocano delle risposte da parte del nostro organismo alle situazioni che viviamo e all’ambiente che ci circonda. La mia risposta è stata: o la situazione cambia o mi alzo dalla sedia e vi mando affanculo (con tutto ciò che ne comporta). Perché a volte la soluzione è solo questa: alzarsi e andarsene. Giusto per istinto di sopravvivenza.

Non ho lasciato il lavoro ma ho trovato un palliativo facendomi ridurre le ore. Il mio capo, incazzato, mi fa “ok, ma comunque guadagnerai di meno”. La mia risposta è stata “la mia salute è più importante dei soldi”. E non mi ha scritto più.

Ecco, quindi spero, a partire dalla prossima settimana, di non ritardare più a bozzare.

One thought on “Il mio istinto di sopravvivenza

  1. Hai fatto benissimo, anche se é facile a dirsi….
    Anche se ce lo chiedono (i capi, il sistema, la cultura attuale), non si vive per lavorare, semmai si lavora per vivere.
    Anche se é difficile a farsi…

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