Medice, cura te ipsum!

Come vi dicevo lo scorso articolo, ho passato una bella estate, che è stata fondamentale per elaborare un “piccolo” trauma che ho vissuto questa primavera e su cui oggi mi sento di riflettere pubblicamente, almeno in parte (ché la mente ha bisogno dei propri tempi, non di quelli disumani del mondo di fuori!).
La faccenda in soldoni è questa: avevo bisogno di esami e di terapie specialistiche, di trattamenti ed anche di una piccola operazione. Il tutto inerente ad una faccenda particolarmente delicata umanamente e psicologicamente a detta di chiunque: il desiderio di genitorialità!

Orbene, dopo le prime e le seconde e le definitive scaramucce col mio scorso medico di base, avevo deciso insieme al mio compagno di cercare un nuovo medico più competente in paese, ché poi in paese tutto pare più a misura umana. E lo trovammo in effetti. Tutto in effetti era a misura umana, fuorché la pandemia. Cosicché, dopo una prima accuratissima visita, chiacchiere, gentilezze e disponibilità, con l’ennesima ondata di Covid vedo questo gentil medico decadere progressivamente: rifiutare visite, creare problemi per le prescrizioni specialistiche, non rispondere ai messaggi e mandare le necessarie ricette intorno all’1 di notte, puntualmente. Giustamente, inizio a pormi qualche domanda e, tramite le sue sempre più frequenti rimostranze, scopro in me stessa un malsano disconoscimento della disciplina medica, fatta di carichi insostenibili di pazienti cui sbrigare tutte le burocrazie-da-Covid (più che le cure), di rischi di frodare lo Stato con ricette prive di diagnosi non esplicitate da specialisti leggeri, di paure di pagare da sé i farmaci prescritti con eccessiva leggerezza ai propri assistiti, di dubbi e tentennamenti e rimandi significativi (di natura sempre burocratica, per carità!) che mi fecero seriamente dubitare dello stato di salute del mio stesso medico. Che tuttavia, è giusto dire, in parte ho sempre giustificato, scusandomi, anche quando mi fece uno spiegone infinito del perché non poteva farmi la domanda di indennizzo di malattia per come richiesta dal mio ente previdenziale, che effettivamente prevedeva criteri assurdi. E quindi niente indennità di malattia, amen!
Ma la mia empatia per fortuna oramai ha un limite. Pertanto, quando il suddetto medico mi fece litigare con la ginecologa e col farmacista per non aver emesso le ricette richiestegli da 1 mese e assolutamente necessarie ad iniziare la terapia farmacologica dell’indomani, da cui sarebbe dipeso un successivo intervento, lì mi incazzai, anche se compresi ome i farmaci necessari fossero parecchio impegnativi da prescrivere (anche nelle formule) per “un medico di paese che non aveva mai fatto queste prescrizioni” (così disse lui).
E mi incazzai pure con la ginecologa privata che isterizzava nervosamente ogni visita, ogni esito, ogni decisione da prendere, che imponeva l’orario per le somministrazioni mediche o per gli esami da eseguire, facendo capire che qualsiasi sgarro avrebbe provocato l’apocalisse e che mi trattava come un essere inetto rimproverandomi amaramente anche per la mia stitichezza (“Lei è piena di feci!!!”. ‘Nca! C’avissi rittu… ma mi sentii talmente sporca e umiliata che sta frase me la portai dietro per mesi, come se la stipsi fosse una colpa e non una sofferenza!). Eppure, proprio lei sottovalutò (se se ne accorse?) dei valori che avrebbero compromesso inevitabilmente l’intervento… scegliendo per altro una tipologia di protocollo costosissima e da effettuare fuori provincia (dove lavorava la sua migliore amica!) e stressandomi se non trovavo i farmaci richiesti all’ultimo momento (che giusto giusto in quel periodo ritirarono dal mercato!). Come a dire che, quando conviene, la precisione può anche andare a farsi fottere!
E sinceramente mi incazzai pure con la sua amica “specialista”, che mi vide e come prima cosa mi chiese soldi, ignorando che fossi andata a Messina credendo di essere accolta in una clinica e dove invece trovai un ambulatorio da cui mi buttarono fuori con l’anestesia fatta 20 minuti prima, dandomi solo un foglio illegibile da cui avrei dovuto dedurre che avrei avuto spasmi per i quali avrei dovuto prendere un certo farmaco e che la volta successiva darei dovuta andare a vescica piena… Scusate il periodo lungo; è voluto: spero trasmetta la follia della questio e dell’illegibilità che, alla visita successiva, mi valsero un rimprovero arrogante e addirittura, mentre ero ignuda, inerme e spaventata, un urlo che mi turba ancora ora: “Signora!!! Non opponga resistenza!” (manco fossi un’allieva, manco NON fossi un essere umano e manco mi stesse facendo un favore… meglio se non penso a quanti soldi le ho lasciato!). Ovviamente, poi il centro mandò, tramite “miodottore”, la richiesta di recensione, che feci – giuro! – senza insulti e senza supponenze mediche, ma sulla base della incomunicabilità, disumanità e venialità… E che mi fu per questo cassata! [Piccolo inciso: rifuggite – oh stolti! – da questa nuova moda delle recensioni on line per orientarvi! Sono spesso pilotate e chi più paga certe piattaforme, più è garantito e più va in up su Google!].

Inutile dire che l’operazione non andò a buon fine… E mi fermo qui poiché credo che la manfrina sia già abbastanza succulenta.

Mi avvio a concludere con 2 semplici domande:

1) Sapete che tutte le professioni d’aiuto sono esposte al burn out e che da esso bisogna “curarsi”?

2) Sapete cosa sono le “supervisioni”?
Noi psicoterapeuti, ad esempio, abbiamo il dovere deontologico (mentre siamo in formazione) e morale di utilizzare questo strumento, consci che la responsabilità del nostro lavoro è altissima e che le conseguenze di un errore possono avere importanti ripercussioni sul paziente. Medice, cura te ipsum (“medico cura te stesso”), si usa dire…: se vogliamo curare gli altri prima dobbiamo prenderci cura di noi stessi. D’altronde, cosa può mai accadere ad un curante nell’ammettere di aver bisogno di uno sguardo terzo per far meglio il suo lavoro? Non polemizzerò sull’incapacità a percepirsi imperfetti, che è purtroppo epocale; preferisco focalizzarmi sulle conseguenze delle co-visioni e delle super-visioni in termini di supporto, di crescita personale e professionale e di maggior tutela dei propri pazienti.

…Sono figlia di un genitore deceduto per un errore medico, fatto acclarato da tempo; ciò nonostante, NON vorrei smettere di aver fiducia nelle relazioni di cura, che d’altronde esercito con scrupolo, attenzione e umanità… qualità che sarebbe bello ricevere anche da pazienti (quali tutti siamo, anche).

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