L’istinto di conservazione dei cardi

In effetti ogni anno li ritrovo sempre lì, nell’angolo destro del giardino di casa mia. In inverno in mezzo alle erbacce e alle borragini selvatiche; in estate in mezzo alla terra asciutta, ornati di simpatici carciofini, gustose prede anche di formiconi e bombi. Stanno bene anche quando seccano, presenti e nutrienti più di molte relazioni mordi e fuggi, a tempo limitato e basate sulle convenienze. Stabili, affidabili. Perenni, loro. Non come certi valori… Ma come fanno? Non si scoraggiano mai? L’aria cambia, avvizzisce, si inquina e riscalda… E loro restano. …Li ammiro: sanno come e cosa fare in ogni occasione, e sono anche molto generosi con me, anche quando io non so esserlo con loro. Così, ogni tanto mi impegno e mi rendo propensa a ricambiare questo amore con gratitudine. Oggi, ad esempio, è il giorno: dopo aver rimandato da tempo, oggi è domenica e loro sono gli unici ad essere qui come me; non posso ignorarli ancora, così li raccolgo per noi ed anche per donarli.

Certo, sono piante impegnative da (ac)cogliere, con le spinette; e poi sono da sfilare. Non sono verdure economiche in termini di tempo, insomma, anche se lo sono nel richiedere di poca cura. Inoltre, NON sono verdurette “attuali”. Mi ritrovo infatti ad impuntarmi con me stessa per raccoglierle, pulirle, poi metterle sul fuoco per 2 orette… Molti per questo me li rifiutano, mia suocera li vede e si avvilisce… E che processo che c’è dietro! Una montagnetta di odiosi filamenti si accumula sulla mia tavola, tra le mani umidicce e annerite che si sono già punte per raccoglierli. Capisco solo adesso quanto sia giusto che gli ambulanti ne vendano un pezzetto in pastella a 1 euro! Che valore ha il denaro a confronto con un cardo in pastella?!? In era neo-capitalistica, infatti, ci vogliono un sacco di tempo e di energia sottratti al capitale per (ac)cogliere i cardi del proprio giardino. Un mio paziente imprenditore direbbe che è un investimento “poco profittevole”… Sarà, e in effetti mi debbo proprio accanire per onorare queste sostanze nutritive che mi crescono naturalmente come divinità onnipresenti del focolare. Rendo grazie, spero, in questo modo e mi sento più religiosa e meno capitaleggiante. Lo stesso faccio con le borragini selvatiche, punciute pur’esse, che mio nonno cucinava col ragout di cinghiale e che io mangio anche bollite, a volte saltate con l’aglietto e l’olio. E infine col mio basilico, divenuto pesto.

E c’è un di più:
Oggi ero molto di malumore e confesso che lo sono ancora. Ma l’oretta passata in giardino con le scarpe da tennis a ricordarmi dell’origine della vita in mezzo alla natura, di cui il mio terreno mezzo selvatico non è che una scaglia di unghia del piede della Sicilia e un micro-puntino vergognoso & sparuto del mondo e una insignificanza del tempo della vita geologica… questa oretta e questi pensieri, uniti al coccio di sole dicembrino che riscalda me e la mia gatta Ginetta che mi segue come un cane mentre mi faccio largo tra le erbacce per raccogliere ciò che la terra dona… Questa oretta e questi pensieri hanno riabilitato per un po’ il mio spirito, mi hanno onorato ed elevato umanamente, oltre ad offrirmi di che mangiare per una settimana a km più che 0.

E mentre tutto è pronto e la cucina è calda dopo aver ribollito per ore, scelgo di celebrare ulteriormente la pulsione di vita, di conservazione erotica, creativa e curante dei miei cardi: bisogna essere grati. Bisogna poter vedere. Bisogna investire in beni relazionali, naturali e umani non profittevoli. Bisogna donare e condividere.

Questi gli antidoti al mio malumore.

Questi come antidoti alla psicosi collettiva auto-distruttiva della vita, di ogni relazione, di qualsiasi bellezza.

One thought on “L’istinto di conservazione dei cardi

  1. Beh, mi sa molto di meditazione cardica! Dovremmo avere tutti un giardino coi cardi per inquadrare nella sua dimensione il nostro malumore…

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