Ci vorrebbe una zitella – Stereotipi di genere tra patriarcato e capitalismo

Mi riallaccio al mio post precendente in cui scrivo “il Patriarcato non si deve toccare! Sapete perchè? Perchè altrimenti crolla il capitalismo!”. Sí, sono sempre stata un po’ drammatica. Mi viene in mente la scena dei piccioni grassi di Mary Poppins! “Se crolla la Banca d’Inghilterra, crolla l’Inghilterra!”. Sembrerebbe un’esagerazione ma in effetti è così: se crolla la società patriarcale, crolla il capitalismo. Seguitemi, non è difficile.

Produci, consuma, crepa.

Non sto qui a fare il Marx della situazione ma in poche parole la società capitalistica è un sistema in cui le persone producono e consumano (chi più chi meno), in un equilibrio in stile ruota di criceto – il mio prof. di filosofia del liceo è li che sta facendo un rumoroso facepalm. Secondo la logica capitalistica tutto ciò a cui non si può attribuire un prezzo di mercato non ha valore. In poche parole il capitalismo effettua una differenza di valutazione e riconoscimento tra il lavoro produttivo e quello riproduttivo. Ed è proprio grazie a questa differenza che possiamo affermare che il capitalismo alimenta il patriarcato. Sono due compari che vanno a braccetto! Tipo Profezia di Harry potter “nessuno dei due puó vivere se l’altro sopravvive”.

Ora – direte voi – che c’entra la “zitellagine” col capitalismo? C’entra, c’entra! Partiamo già dall’accetazione dispregiativa del termine: questo alimenta una narrativa che vede nella donna non sposata il male puro! Poverina, è rimasta sola! Poverina nessuno l’ha scelta! Questo status di zitella deve essere ricacciato e stigmatizato per fare in modo che la donna si sposi. Continua così che resti zitella (ragazza acidella)! Ma perchè la donna deve sposarsi a tutti i costi? Per due semplici ragioni: la prima è fare figli, la seconda è prendersi “cura” della famiglia. Fare figli è fondamentale per il capitalismo: essi producono mano d’opera e sono consumatori. Piú persone ci sono, piú si consuma e piú si produce. E il criceto gira. Invece per quanto riguarda la “cura” il capitalismo si è inventato questa favoletta bellissima per cui la donna si fa carico della prole e della casa e lo fa “per amore”.

E Giacomino si sposa! E Giacomino si sposa!

Facendo leva sulla retorica patriarcale (anche di stampo cristiano) della famiglia, la buona donna è colei che è una buona moglie ed una buona madre. Colei che con amore si prende cura delle attività domestiche, alle quali – sempre secondo la favoletta del capitalismo – la donna è più portata dell’uomo. Perché? Perché mai la donna dovrebbe, per amore e con amore, prendersi cura di prole e attività domestiche? Perché queste mansioni non hanno valore economico, nonostante stiano alla base del sostentamento e sopravvivenza della comunità. In questo modo ecco che vediamo la donna sottomessa e oppressa dal patriarcato. Il lavoro di dedicarsi alle faccende domestiche e ai figli si trasforma in “amore”: vince il capitalismo grazie al patriarcato. Tu lavori, io non ti pago, grazie al tuo lavoro aggratiss il criceto continua a girare! Problema numero uno: sfruttamento. Problema numero due: divisione dei ruoli di genere secondo valore e importanza.

Le favoletta de “il matrimonio è il giorno più bello nella vita di una donna” o il fatto che sia l’uomo a “sacrificarsi” in nome del matrimonio sono entrambe delle grosse cazzate! Giacomino dovrebbe essere contentissimo di sposarsi e Luciana Littizzetto che pare un pupazzo (cit.) dovrebbe disperarsi non per il fatto che il suo sposo sia in ritardo sulla tratta Milano-Gallipoli ma proprio per il matrimonio! All’uomo conviene sposarsi, alla donna un po’ meno. Lo dice la scienza! Gli conviene perché il carico mentale (così si chiama) di questa “cura” (della casa soprattutto e dei figli) ricade maggiormente sulla donna. L’uomo ha più tempo per la sua carriera, la donna deve scegliere se sacrificare o meno il suo tempo e la sua carrierra. I dati tangibili di questra struttura della società e di questo dislivello sociale li abbiamo avuti durante la pandemia. Quando il governo ha deciso di chiudere le scuole, molte famiglie con entrambi i partner lavoratori hanno dovuto affrontare un’annosa questione: chi si sarebbe dedicato ai bambini? Le statistiche ci hanno mostrato che sono state più donne a lasciare il lavoro per accudire i bambini, che uomini. Le donne hanno sacrificato la propria carriera e quindi il proprio valore produttivo (che in una società capitalistica rappresenta valore reale e quindi potere) in nome di cosa? Dell’amore per la famiglia (e anche per il fatto che l’uomo continua a guadagnare di più ma questo é un discorso per un altro post).

Madre sciagurata!

Fino a qui ci siamo? La storia dell’amore incondizionato, del matrimonio a tutti i costi e della stigmatizzazione della “donna sola” sono delle favolette perpetrate dal patriarcato per mantenersi in vita. Chissá cosa accadrebbe agli uomini se le donne (etero) di tutto il mondo da questo momento in avanti decidessero di non sposarsi e non avere figli? Sicuramente gli uomini avrebbero meno tempo da dedicare alle loro posizioni manageriali! State attenti alla trappola del “dietro ad un grande uomo c’è sempre una grande donna” che pretende di elogiare il ruolo della donna quando in realtà la sta relegando al ruolo di oppressa (togliendo importanza alla sua funzione sociale).

In pratica, per mantenere il suo equilibrio, il capitalismo ha sfruttato il sistema patriarcale ed ha fatto in modo che la coscienza femminile si subordinasse implicitamente, creando una “naturalizzazione” delle relazioni sociali tra oppresse ed oppressori. Siccome la donna porta in grembo la creatura, é “naturale” che sia piú incline o piú brava a prendersene cura rispeto all’uomo (e le viene appioppato questo carico). Ma questa divisione dei ruoli in merito alla cura del bambino non è per niente “naturale”, conviene solo al capitalismo. Infatti qualsiasi rivendicazione o protesta riguardo questa condizione di subordinazione si traduce in una presunta mancanza di affetto nei confronti dei propri cari. La madre che “abbandona” i propri figli e il proprio marito per perseguire una cariera é una madre sciagurata! La donna che rivendica la liberazione da questa falsitá viene stigmatizzata e additata dalla societá.

Chiudo lasciandovi la definizione di “oppressione”, dato che ho utilizzato il termine più volte e magari vi pare esagerato. #einvece

Oppressióne, sf. Sopraffazione continuata che nega i diritti fondamentali dell’uomo; abuso di potere compiuto ai danni di una classe, di una categoria, di una popolazione; carico gra­voso e insopportabile di oneri, di obblighi; con­dizione di servitù politica o sociale; sopruso, vessazione, tirannia.

Grande Dizionario Della Lingua Italiana – Accademia della Crusca

2 thoughts on “Ci vorrebbe una zitella – Stereotipi di genere tra patriarcato e capitalismo

  1. Quindi il femminismo che biasima John Smith, ipotetico metalmeccanico della GM perchè nella sua mascolinità tossica non si preoccupa innanzitutto del GPG per il quale, a parità di tutte le variabili al contorno, lui guadagna (forse) l’1% in più di Norah Johnson sua altrettanto ipotetica collega di catena (“The controlled gender pay gap is $0.99 for every $1 men” https://www.payscale.com/research-and-insights/gender-pay-gap/ ), ma celebra l’empowerment e l’esempio della CEO Mary Barra che guadagna 1000 volte entrambi, mettendo in secondo piano che lei, come gli altri CEO odierni, donne o uomini che siano, continuano le tempo ad aumentare i multipli di divario con “i loro” operai…. sarebbe l’antidoto al capitalismo e non il suo migliore agente sotto copertura? ;)

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