L’educazione femminile all’amore e al lavoro non retribuito

Secondo i dati Istat sull’uso del tempo esiste – ma questa non è una sorpresa – una disuguaglianza di genere nella divisione del lavoro non retribuito: il lavoro di cura del focolare domestico e delle persone care (figl*, anzian* e, parenti diversamente abili). Il modello patriarcale della nostra societá rafforza quello culturale secondo cui l’uomo è il sostentatore della famiglia mentre la donna ne detiene la cura. Alla donna è stato appioppato questo stereotipo di genere secondo il quale deve essere amorevole e deve prendersi cura dei figl* e della casa. Tutto questo, ovviamente, gratis! Suocere di tutto il mondo unitevi e ditemi se non vi siete mai chieste se vostra nuora fosse in grado di stirare una camicia a vostro figlio! Mentre, d’altro canto, non ve ne fregava niente se il vostro pargolo non sapesse nemmeno comprarsi da solo le mutande. Questo perché? Per colpa dell’educazione femminile all’amore e al lavoro non retribuito.

Come ho scritto nel post “Ci vorrebbe una zitella – Stereotipi di genere tra patriarcato e capitalismo” questi due vanno a braccetto: il primo alimenta il secondo nel momento in cui rende giustificato tramite stereotipi il fatto che esiste una differenza di valutazione e riconoscimento tra il lavoro produttivo e quello riproduttivo. I dati Istat menzionati ci danno una visione sul valore del lavoro di cura familiare non retribuito stimato con i metodi del costo opportunità e del costo di sostituzione di mercato: il lavoro di assistenza familiare non retribuito rappresenta una parte sostanziale della produzione nazionale, che va dal 3,7 al 5% del PIL, a seconda del metodo di stima (fonte). Quindi che succede? Che mentre per gli uomini il 62,4 % del tempo di lavoro totale è assorbito dal lavoro retribuito e il 37,6 % da quello non retribuito, per le donne è praticamente il contrario, esse concentrano il 75 % delle ore di lavoro quotidiano sul lavoro non retribuito. E le donne che hanno un’occupazione al di fuori del focolare domestico sono ancora piú penalizzate: il carico di lavoro tocca le 60 ore a settimana tra lavoro retribuito e non.

Il l report Time to Care – Avere cura di noi che Oxfam ha pubblicato alla vigilia del Forum economico mondiale di Davos riporta che il lavoro di cura gratuito svolto dalle donne – per un monte ore stimato a livello mondiale in 12,5 miliardi – è traducibile in 10.800 miliardi di dollari l’anno! E noi lo facciamo aggratisse! In Italia, invece, il valore del lavoro di cura svolto dalle famiglie gratuitamente supera i 50 miliardi di euro. La maggior parte di questo lavoro come sottolineano i dati Istat è ancora a carico delle donne che, tra lavoro retribuito e non, lavorano più degli uomini ma guadagnano meno.

Cosa accadrebbe, dunque, se le donne di tutto il mondo si fermassero? Se smettessero ogni attivitá di cura, accudimento, rifornimento di cibo e prodotti, di attenzione eccetera? Il mondo rischierebbe la paralisi e l’economia cadrebbe a picco! E i giornali scriverebbero che molti uomini restano a casa a fare “il mammo”! Degradando non solo il ruolo di madre come facile figura da prendere in giro se tradotta al maschile, ma anche il ruolo di padre rendendolo meno importante e incapace a livello genitoriale, come se il padre non fosse in grado di fare il genitore, in pratica!

É difficile cambiare un’educazione millenaria ma è doveroso prendere coscienza di certi problemi sociali al fine di perseguire una societá migliore e piú equilibrata. Ció che dovremmo tutt* quant* fare è provare a diseducarci e rieducarci nel nome dell’uguaglianza reale! Dico “reale” perché non è quella del “ormai avete tutto, cosa volete di più” dato che evidentemente (e lo dicono i numeri e le istituzioni) non è vero. Buon 8 marzo a tutt*.

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