Siamo quelli nella media (ponderata)

Fuoricorso a trent’anni. E che sará mai! Nel frattempo avevo fatto un sacco di lavori stagionali. Sí, di quelli che lavori tutto il giorno e ti pagano una merda. Oh, che volete, senza esperienza non si puó pretendere chissà che!
E poi c’era la corsa ai crediti. Piú materie (e quindi crediti) davi, piú possibilità avevi di vincere la borsa di studio della regione e che non ti venisse tolto il posto letto al Pensionato. E quindi si doveva studiare. C’era questa pressione, la pressione di dover andare avanti per non perdere il poco aiuto. Quelli che c’avevano i soldi mandavano i figli nelle università private, o nelle altre città, ché a Palermo, si sa, ci stavano i “parcheggiati“, quelli nel limbo tra la scuola e il lavoro, cercato e mai trovato. L’università dei parcheggiati. Bella, mi piace il nome! Richiama anche l’adorato parchetto di Lettere e filosofia, con le panchine al sole in inverno e al fresco in estate.

I primi anni dopo la riforma si respirava un’aria serena: “che bello, hanno accorciato gli anni di studio così facciamo più in fretta”. Peccato che accorciando gli anni, non avevano accorciato le materie, quindi quei tre anni non erano mai tre. Ma noi eravamo come i calabroni, non sapevamo che la nostra sturttura alare non ci permetteva di volare e volavamo lo stesso. Con appelli unici a semestre. Con professori centenari. Con dottorandi che ci facevano da balia. Che cazzo ne sapevamo, noi!

Poi qualcosa si ruppe, e nel 2008 una crisi grande. Io tornavo dall’Erasmus con l’idea di voler andare a vivere a Siviglia. Mi misi a correre per dare gli ultimi esami e laurearmi, cosí – dicevo – me ne vado in Spagna! E questa mia frenesia non mi sembrò esagerata, non mi sembrò cioé che stessi andando più veloce degli altri. “Che sto facendo, non mi sto muovendo abbastanza?” E la realtà era che non ero io a non essere abbastanza veloce: anche gli altri si erano messi il motore al culo!

Sbrigati! Sbrigati! Ti devi laureare! Ché altimenti non lo trovi un posto fisso! Come? Che é ‘sta mobilità lavorativa? Dai! Dai! Dai! E tutti correvano, correvano assieme a me ché l’unico desiderio mio era quello di bere Rebujito a vita. Correvano per tentare qualcosa, per il Sissis che stavano smantellando, per i crediti extra per l’insegnamento, per non finire nel limbo parcheggiati in “auletta”.

A via di crampi ce la feci ma non ebbi il fegato di partire! Che cazzo andavo a fare all’estero senza “un piano”? Che cogliona! Non era un piano quello di cui avevo bisogno ma di soldi! E quindi, assieme a chi si laureò con me andammo a sbattere contro stage malpagati, borse di lavoro regionali o statali, Leonardo o Erasmus Placement. Ma si sa, questi palliativi servono solo a offrire mano d’opera gratis alle aziende. Certo, qualcosa la impari ma non è mica gratis!

Arrivò infatti il momento che dovetti parcheggiarmi anche io e andai a fare la Specialistica. Respirai un po’ quell’aria di spensieratezza da studentessa universitaria (che da quando Cristicchi ci fece una canzone, mi sta sul cazzo), sperando di ritrovare vecchie abitudini tra biblioteca, baretto di Architettura e i famigerati “gradini di Lettere”. Ma non trovai ció che cercavo: la scalinata era vuota! Dov’erano gli studenti che si attardavano tra una lezione e l’altra con la sigaretta o il caffé-macchinetta? Non c’era nessuno! Nessuno disposto a godersi il momento.

Perché? Perché avevano fretta! Fretta di laurearsi, di dare esami, di togliersi da li, di scontrarsi con la realtá che era quella di buttarsi in un mare pieno di pesci tutti scopiazzati, con la stessa esperienza e lo stesso foglio di carta. “Perché dovrebbero scegliere me e non te? Non è solo un colpo di fortuna, in fin dei conti? Non c’è tempo! Non c’è tempo! Magari, se mi laureo prima di te, qualche azienda mi assumerà per prima!”, si pensava. Bisognava correre per essere un pizzico migliore di chi correva con te, bisognava correre per l’eccellenza.

L’eccellenza! La dottoressa che si è laureata a 20 anni! L’ingegniere che ha dato tutti gli esami in tempo e col massimo dei voti! Il figlio della vicina che l’hanno preso all’azienda importante del paese! La giovanissima biologa che ha vinto il premio! Visto? Se loro ce l’hanno fatta, potrò farcela anche io, no?

No.

O meglio, non lo so. O meglio ancora, chi se ne fotte se 4 persone su milioni hanno fatto qualcosa di straordinario! Noi siamo quelli nella media, quelli fuoricorso! Studi, ti laurei, lavori. Ma nel mezzo cosa c’è? L’ansia, la paura di non farcela, l’oppressione del confronto, il fantasma del fallimento.

E t’ammazzi.

C’è chi si è ammazzato davvero. Chi non riusciva a sopportare il fatto di “essere un fallito”. Un fallito per non essere stato in grado di dare un esame che tutti stavano passando. La pressione sociale, quella dei genitori e degli insegnanti. Ci sono tante cose nel mezzo del cammin di nostra vita (cit.), ed alcune di esse ci portano a gesti estremi o a convincerci che se viviamo, viviamo da falliti, da merde. Io non lo so cosa puó portare le persone a gesti estremi, so soltanto che se forse la smettessimo di raccontarci storie vivremmo più scialli. E forse ci godremmo di più i momenti caffé-macchinetta.

5 thoughts on “Siamo quelli nella media (ponderata)

    • Magari! Almeno ci sarebbero stati esami ogni 3 mesi! Da noi i semestri duravano 6 mesi. O forse meno ma solo perché a volte mancavano i professori (e non per mancanza fisica ma perché il più delle volte i professori erano anche altro, tipo avvocati, consoli, e chissá che altro). Peró gli appelli erano ogni 6 mesi. Poi c’erano gli appelli intermedi per i fuori corso, tipo a dicembre, sotto le feste, e per fare quegli esami comunque dovevi andare fuori corso…

      • Io mi sono iscritta – per passione – quando ero “fuori corso per limiti di età” (avevo più di 40 anni, inizi anni 2000), e ricordo due “semestri” con lezioni che duravano circa tre mesi e manuali dei corsi non potevano superare le 300 pagine (pensa come si poteva dare un esame di Storia romana in queste condizioni…), ma gli appelli erano tre: settembre, gennaio/febbraio e giugno/luglio tipo collezione di moda :)

    • C’è chi si è ucciso e chi ha ucciso per un percorso universitaria fallito, ma tenuto nascosto sinché una fantomatica data di laurea per forza di cose et ormai prossima. È il caso di Aral Gabriele.

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