«La Cittadinanza ha “le chiavi della città”»

Il 23 aprile è nato il 1° ramo siciliano di Cittadinanza Riflessiva!
Adesso è già passato qualche giorno e Cosa abbiamo fatto?”, mi chiedo.
Non è una domanda sospettosa, ma di quelle che mi faccio con la voce della meraviglia dei bambini che scoprono il nuovo.
Mi rendo conto che “meraviglia” può sembrare una parola marmellatosa, stucchevole. Se però la riportiamo a ciò che oggi “desta ammirazione o stupore”, allora torna più interessante, poiché porta con sé uno stupore generato dalle cose non scontate, nuove, che lasciano stupe-fatti – “fatti di stupore”, appunto – o meravigliati, appunto.

Quindi, per tornare lì dove sentivo la meraviglia: “Cosa abbiamo fatto? E come?”.

Innanzitutto, siamo stati fortunati: sono state giornate di sole, dopo aver sentito umido e freddo. E sono stati giorni assolati a tutti gli effetti, in effetti: illuminati da un astro che dà luce e calore a noi-pianeti-isolani, se quell’astro possiamo chiamarlo “incontro” o “dialogo”.

Siamo arrivati a questo momento con tenacia, credendo nel valore del “costruire” questi spazi di incontro e di dialogo; e in definitiva è questo che abbiamo fatto.
Sicuramente non in un tempo breve, ma – come quello di ogni nascita – attraverso un processo il cui concepimento deriva dall’aver creato un “discorso tra persone” di cui abbiamo molto patito la mancanza …e che quindi abbiamo cercato durante i lunghi inverni pandemici, ove la pan-demina non è stata solo quella virale, ma anche quella psichica che ci avvolge da lunghissimi anni (quanti non è troppo facilmente quantificabile!) e che potremmo chiamare “solitudine”, “chiusura”, “atomismo”.

E’ in effetti durante il lockdown, su Zoom, che conosco Alice e che sento per la prima volta parlare di quella cura di comunità che chiamava “Cittadinanza riflessiva”. Pur essendo “chiusi” in noi stessi – in quei “rifugi” somato-psichici sopravvivenziali in emergenza, ma alla lunga portatori di deperimento organico e psichico -, abbiamo ascoltato la scintilla iniziale (“Questo serve a me e agli altri”, ho pensato sentendo un potente desiderio!): abbiamo voluto allungare una mano, mandarci mail, sentirci, conoscersi, partire per vederci e per iniziare qualcosa. Da gruppoanalista, ne avevo in mente l’utilità; non restava che affinare il metodo e creare un gruppo di lavoro volenteroso e desideroso di agorà che volesse attivare altri incontri e gruppalità. Ed è questo che abbiamo fatto, prima con Alice, poi anche con tutti gli altri di “su” e con amici e colleghi di “qui”, mese dopo mese, moltiplicandoci! Lungo questo ultimo anno, infine, ci siamo contaminate tra noi e con gli attivisti locali che ci hanno aiutato e sostenuto. Il 22 aprile abbiamo accolto in Sicilia i colleghi del Nord venuti a portare il lievito madre – quindi immediato nutrimento – al nostro ramo nascente e infine, il 23 aprile, abbiamo incontrato chi è venuto a trovarci a Casa Felicia per cittadinare insieme.

Adesso è già passato qualche giorno.
Vorrei dirvi della mia gioia, di come io abbia vissuto momenti di risate e di lavoro insieme, del contagio camaleontico con i partecipanti. Vorrei accennare a come il linguaggio universale (e universalmente potente) dei sogni ci abbia portato ad attraversare la Paura, il Pericolo e la Speranza “di averla vinta, stavolta!”. Tutto questo, diceva qualcuno, entro “un clima molto bello”, fatto di “un’emozione viva” e di “un prato in cui c’è spazio per tutti!”. …E tutto questo anche se il rischio, nell’incontrare gli Altri, c’è. …Quanta fatica nel prendere un impegno fuori dalle proprie abitudini confort-evoli! Quanto difficile è fidarsi, parlare agli sconosciuti, alla collettività (e farlo proprio qui, nella terra dell’omertà)! Quanto è complicato superare l’impotenza depressiva di questa terra in cui ci si sente, diceva qualcuno, “il vinto dei vinti” di Verga! E’ complesso immaginare un dialogo che vada oltre la rabbia, le opinioni rigide che non si s-cambiano ma che, in verità, si impongono litigiosamente! E’ veramente dura uscire dall’ambivalenza del “voglio farlo, mi piace!” & insieme “non voglio farlo, mi squilibra il solito, che camurria!”. Perché il nuovo fa scoppiare l’ambivalenza, un vero e continuo conflitto tra opposti

Tuttavia, diceva qualcuno, “se i sogni non vengono coltivati, ci si sveglia e si rischia di diventare vecchi inutilmente!”; e qualcun altro aggiungeva che “la ragione non è quella dei sogni: quelli sono un passo avanti!”. Quindi sì, come è emerso durante il nostro pomeriggio collettivo, il rischio nel contaminarsi di Altri c’è: possiamo prenderci le sozzure altrui, avere paura dei cani e dei mastini neri sognati dai vicini di sedia (e che sentiamo dentro di noi!); possiamo perderci senza guida come la compagna che ci sta di fronte, sentir parlare di morte e di acqua melmosa e putrida; possiamo percepire la paura del lupo mannaro che insegue il signore all’angolo durante i suoi incubi ricorrenti, ascoltare narrazioni letterario-realistiche di cannibalismo o vedere scenari onirici di fuga leggiadra, di volo, di mare. Possiamo sperimentare tutti insieme il pericolo, l’ansia, la solitudine terribile, lanciarci nel vuoto, annegare o incontrare “un’altra me” che si immerge serena nell’acqua torbida come fosse “Chanel n° 5”; e possiamo poi sorridere al ricordo delle galline da spennare per gioco. Tantissimi animali hanno preso le forme dei nostri desideri e delle nostre paure, dell’Altro e di noi stessi. Qualcuno si è mimetizzato per sfuggire al pericolo, qualcun altro per volare in alto nei cieli o per scambiare affetto, altri ancora per addomesticare questioni o per giocare sereni o dispettosi come un gabbiano che ruba le pizzette ai turisti. Infine, tra un pericolo e un desiderio, tra un dittatore e un salvatore, ecco una scala altissima, che è necessario sorreggere insieme per salvarsi reciprocamente. “Picchì se è solo, l’individuo finisci com’a scala: car’in tierra!”.

Il rischio, quindi, nell’incontrare gli Altri, c’è. Obiettivamente c’è… Ma “perfino le pozze immonde contengono delle cose!”, ha esclamato un partecipante. Di fronte ad esse, il rischio é sicuramente quello di contagiarsi di sogni condivisi, di bellezza, di angosce che, insieme, si possono vivere e sopravvivere. E forse, per farlo, serve una scala-di-comunità che sorregga! I cui membri vogliano con-cedersi l’uno all’Altro!

Tutto il processo che vi ho brevemente descritto è stato caratterizzato dal con-tatto, ovvero dal toccarsi, dalla non semplice mescolanza delle eterogeneità, dall’imbrattarsi di robe altrui che potessero fecondarsi a vicenda: dagli odori di chi era vicino a noi, alle mani, ai saperi, alle parole e alle pronunce dialettali di vari tipi; dalle merende – allegrissimi e conviviali i banchi di scuola pieni dei cibi donatisi a vicenda -, agli scambi di ricordi, sogni, immagini, fantasie. E’ stata un’esperienza pluri-sensoriali & multi-emozionale, che potrei descrivere in molti modi, conscia che viverne l’esperienza va comunque oltre! Il luogo (prima mafioso e poi restituito alla città per farne qualcosa di buono) ha sicuramente aiutato ad aggrupparci e a concludere, citando un partecipante, che in fondo è davvero la Cittadinanza ad avere “le chiavi della città”.

Ora vedremo cosa farcene. Perché, come tutte le cose che nascono, esse vanno coltivate per crescere e continuare a generare… Perciò, ci rivediamo a ottobre per coltivare ciò che abbiamo iniziato a sognare/seminare insieme anche qui in Sicilia!

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