Adolescence è una miniserie angosciante che ti tiene in costante tensione, nonostante la lentezza esasperante della sua narrazione, in cui un secondo di ripresa corrisponde esattamente a un secondo di vita. Senza tagli, senza scorciatoie, senza sconti.
Tutto inizia con un violento arresto: un ragazzino di tredici anni viene portato via da casa nel cuore della mattina. La scena appare eccessiva, quasi surreale. Sembra tutto un errore. E forse un po’ lo è. Ma più che spiegare, la serie accompagna: seguiamo il freddo iter di un arresto vissuto con sofferenza da tutti — dal ragazzino, dai suoi genitori, dagli agenti stessi. Perché quando il sospettato è un bambino, nessuno resta indenne.
Il pubblico sa poco quanto i familiari: perché questo arresto? Di cosa è accusato? Cosa c’è davvero dietro? Ma presto le domande cambiano. Diventano più intime, più scomode:
Può un genitore negare l’evidenza pur di proteggere il figlio?
Quanto può durare il dubbio prima di diventare negazione?
Cosa succede nella vita di chi è legato a un presunto colpevole?
E la comunità intorno, quanto pesa con i suoi sguardi, i suoi giudizi, la sua sete di responsabilità?
Adolescence non dà risposte. Costringe a guardare, a sentire, a restare. È un racconto sul dolore silenzioso e sulle lacerazioni invisibili, più che sul crimine stesso. Un dialogo tra generazioni che parlano lingue diverse, che si scontrano, che si spiegano. Un viaggio emotivo che tocca corde profonde, soprattutto se si è genitori, o si immagina di esserlo.
È impossibile non pensare a vicende reali, come quella di Restivo, dove l’amore paterno, o meglio forse l’onore del cognome, la rispettabilità, l’apparenza, spinti all’estremo, sfocia nella connivenza, nella rimozione, nella negazione del male. Ma fino a dove può arrivare la protezione di un figlio, e quando smette di essere amore e diventa complicità?
Da spettatore — e da genitore — mi resta addosso una domanda semplice e devastante: se fosse mio figlio? È giusto che paghi i suoi errori? Sì, certo. Ma come si fa a chiudere la porta di una cameretta da bambino sapendo che, quando si riaprirà, vi entrerà un uomo diverso, segnato, con gli anni più fragili della sua vita già alle spalle?
Adolescence non è una serie che si guarda con leggerezza. È una ferita che resta aperta. Un’esperienza cruda, asciutta, ma potentissima. Non cerca il colpo di scena, ma scava nella parte più buia delle relazioni umane. E se sei disposto ad affrontarlo, ti lascia dentro qualcosa che non passa più.
Lo vedrò spero… Ma a te cosa ha lasciato dentro?
eh… un senso di impotenza. Ad un certo punto succede che non hai più il controllo di quello che fanno i figli e non puoi più proteggerli.