È morto Papa Francesco.
Tra la disperazione di alcuni, il dispiacere sincero di altri, e l’attenzione morbosa di tutti.
Non che fosse un ragazzino, eh. Le sue condizioni di salute erano un segreto di Pulcinella: visibilmente fragili, precarie, traballanti come una sedia a tre gambe.
Quindi: stupore, zero.
Ma in questi casi, si sa, la morte fa sempre rumore. Soprattutto quando a morire è uno che — almeno sulla carta — parlava con Dio.
Gli uomini muoiono. Punto. Tutti. Non importa quanti medici hai attorno, quante suore ti preparano la tisana, o se ti chiamano “Sua Santità”: sei carne, ossa e data di scadenza.
Il papa, per quanto fasciato di simboli e titoli, resta un uomo. Uno che ha avuto l’onere (e l’onore, ma anche l’onere, lo ripetiamo) di gestire un potere temporale e spirituale. Uno che ha influenzato anime e bilanci, liturgie e politiche estere.
E sì, sarà pure stato umile e sobrio — almeno nei racconti — ma insomma: si dice “mangiare come un papa”, non come un asceta. La posizione ha i suoi vantaggi, diciamolo.
Sì, certo: pressioni, aspettative, occhi addosso, zero privacy. Una prigione dorata con vista su San Pietro. Ma in cambio ti garantiscono una cosa che l’essere umano brama come l’aria: la memoria storica. Passare alla Storia — quella con la “S” maiuscola.
Adesso i TG non parlano d’altro.
Non per rispetto, eh: per audience.
I notiziari ormai non inseguono le notizie, ma gli algoritmi dell’attenzione. E la morte di un papa è un evento perfetto: solenne, emozionante, prevedibile ma pieno di suspence. Per alcuni è il primo papa che vedono morire. Per altri, probabilmente, sarà l’ultimo. C’è chi piange e chi aggiorna Wikipedia.
E ovviamente parte il toto-Conclave.
Il gioco preferito dai giornalisti vestiti da teologi dell’ultim’ora: “Chi sarà il nuovo papa?”
Bianco o nero? Asiatico o latinoamericano? Giovane speranza o vecchia guardia? Riformista tiepido o ultraconservatore mascherato da simpaticone? Italiano magari no, ché abbiamo già dato. Oppure sì, per nostalgia del medioevo?
Intanto la fumata bianca si fa desiderare.
Quel camino che fa più spettacolo di Sanremo: lo guardano in diretta, lo commentano, gli danno un hashtag. Lo streaming del fumo: siamo messi così.
E io?
Io che non sono cattolico, e nemmeno simpatizzante, dovrei potermene infischiare.
E invece no.
Perché anche chi non ci crede viene investito — direi proprio benedetto a forza — dalla religione nazionale. L’Italia è un paese laico per modo di dire.
Sulla carta, sì. Nei fatti, molto meno.
Le leggi, le scuole, i simboli, i discorsi, perfino i matrimoni civili sembrano essere stati concessi solo perché rischiavamo di essere tra gli ultimi paesi europei ad adeguarsi ai tempi.
E quindi eccoci qua. A parlare, pensare, scrivere del papa.
Un uomo. Un semplice uomo.
Che mangia, dorme, scorreggia, fa pipì e — udite udite — anche la cacca.
Che forse leggeva i fumetti, forse imprecava sottovoce quando gli cadeva il crocifisso sul piede.
Un uomo che ha parlato al mondo e che ora il mondo piange, osserva, usa.
Perché, anche se per te era solo un vecchio vestito di bianco, in fondo diventa un personaggio importante anche per te.
Un po’ per forza. Un po’ per abitudine.
Un po’ perché “morto un papa se ne fa un altro”… e ci serve qualcosa di solido in cui credere, anche solo per riderci su.