1°: Non è stato un dramma.
Nel senso che, per mia fortuna, posso sfatare quella mitologia per cui “Se salti tu, va tutto a p******!”. Tutti vivi (e anche io alla fine), pupino sano e vispo come un pescetto, compagno ancora con i suoi capelli in testa e casa in-esplosa; pure gatti ok, addirittura un gatto extra ha riconosciuto che poteva venire agevolmente a cibarsi in casa nostra. Qualche momento di panico nottetempo, poiché il compagno, dopo aver sfamato il piccolo, non aveva può residui uditivi per avvedersi di me che cadevo nel tentativo di centrare il letto stonata dalla febbre a 39 da 3 giorni; comunque nulla di irrimediabile, solo una Emi fragorosamente accasciata sul comodino.
Devo dire che questa faccenda del “NON essere insostituibile”, se da qualche parte contiene un micro-dolorino narcisistico, dall’altra è un grande traguardo e insieme insegnamento di sopravvivenza e di collaborAzione anti-egocentrismi sacrificali: in casa nostra (tette a parte, anche se pupi ci prova pure col papino) i nostri compiti sono intercambiabili e delegabili, tata inclusa! Non ci sono ruoli rigidi – anche se ad Anto viene meglio alzare le casse d’acqua e a me fare i pensieri progettuali (e le relative liste) -, cosicché riusciamo a sopravvivere quando uno di noi viene fatto temporaneamente fuori dai virus o dagli impegni. Insomma: la festa della mamma è anche la festa del papà perché pure lui è un po’ mamma come io sono papino ed è così possibile vivere senza essere un supereroe e senza massacrarsi o farsi fuori di brutto!
2°: Il dramma dell’interdipendenza!
Nel senso che, per mia fortuna, Noah si è accorto che NON ero la solita mammEmi: il primo giorno in cui la febbre era talmente forte da trasfigurarmi in viso e impedirmi di ballare e scherzare con lui come sempre, a un certo punto si è messo una faccetta a cucchiaino preoccupatissima e alla sera ha pianto tanto, strillando come un micro-pterodattilo! Cosa che, di solito, lui non fa!
Dico “per mia fortuna” perché ogni tanto il principio dell’intercambiabilità ti fa temere che l’uno valga l’altro; sì, che puoi sparire, insomma o che sei uguale a tutti; ciò mi rende a volte insicura e gelosa.
Il mio cucciolo, invece, è un attento scrutatore e si è accorto subito che io non ero manco uguale a me stessa e che qualcosa non andava, rimandandolo indietro al mittente, proprio rispecchiandolo (come noi psi amiamo dire) tipo “specchio riflesso” col suo mal-essere; il rispecchiamento, infatti, è un’arte innata nei cuccioletti umani!
Questo mi ha fatto immediatamente pensare a come i bimbi siano tutt’altro che spettatori passivi e a quanto siano sacrosanti quegli esperimenti come lo “still face” (troppo poco noti nella preparazione alla genitorialità) che mostrano quanto i neonatini si orientino nel mondo e rispetto al loro modo di stare nel mondo a partire dalle espressioni facciali dei genitori. Ad esempio, un genitore cronicamente ansioso, depresso o ammalato “produrrà” un certo tipo di bambino, con uno specifico umore e con una attivazione peculiare. Questa è una responsabilità enorme per un caregiver! Tuttavia, potrebbe non essere necessariamente schiacciante; è semmai utile in quanto può aiutare a comprendere quanto siamo legati a loro a doppio filo e come la NOSTRA salute o malattia o cura sia SEMPRE anche la LORO salute o malattia o cura.
Ciò non vuol dire che siamo colpevoli di qualcosa se abbiamo una febbre a 39 (o altro di più impegnativo); significa NON mettere la testa di struzzo sotto la sabbia ed essere consapevoli che questo avrà comunque un peso sulla formazione di un pupino e che è bene esserne consapevoli, occuparsene al meglio possibile e motivarsi responsabilmente a coltivare condizioni di BEN-ESSERE!
3°: “Mollare un corno!”
Dicevo “Mollare” in un articolo precedente. Ebbene, mi devo denunciare come bugiarda a metà. Mollare, sì, ma fin quanto lo metti in conto tu stessa, direi oggi. Fin quando, direi più onestamente, hai tutto sotto controllo e lo hai scelto tu! So che così suona male e fa sembrare brutte persone (non è questo ciò che penso!), ma forse è bene non farsi sconti per cogliere quanto certe modalità siano radicate e pietrificate dentro di noi. Perché puoi parlare di mollare finché lo hai pre-pensato, pianificato, deciso e gestito. Quando ti arriva il malanno e non lo accogli, quando non accetti di stare a casa a letto, di disdire gli appuntamenti di lavoro, di non essere in studio, di guadagnare di meno, etc… Beh, là c’è l’evidenza che si fa fatica a mollare… anche se ti eri detta che ne sei capace; anche quando sai che non morirà nessuno, poiché, appunto, siamo tutti (inter)indipendenti. E invece ci rumini su seccata, ripeti che hai il vaccino, che guarirai presto, e sposti gli appuntamenti di sole 24 ore… E intanto ti giri e rigiri nel sudato letto come un salmone che non può risalire alcunché per cercare soluzioni alternative che non esistono, poiché “u brum brum ha detto stop”: il corpo ti ha fermato, basta, devi stare a casa! 2 giorni a cercare di accettarlo, 2 dì poco lucidi, in cui non ho sorriso ai miei limiti febbrili nonostante anni di lavoro in questo senso; 2 giorni in cui, invece di “godermi” il riposo, mi sono scervellata su come avrei potuto risolvere, su cosa avrei potuto fare, sulle conseguenze e su come avrei poi potuto rimediare. Qui prodest? Boh.
Il fatto vero è che certi meccanismi sono più incistati in noi e incarnati di quanto pensiamo, che partono in automatico (proprio come un cambio automatico: procedono inesorabilmente da sé) e che disinnescarli è veramente dura! Avrei potuto godermi la malattia (che d’altronde non è manco retribuita, e forse questo è uno dei punti-clou!) e, ricordandomi di non essere invincibile (forse questo è un altro dei punti-clou!), vivermi il meritato qui e ora col mio pupi. Invero, oggi mi tocca dire più onestamente di ieri che, almeno all’inizio, non è andata così e che “mollare” fino in fondo non è affatto facile…