C’è stato un tempo, neanche troppo lontano, in cui acquistare un software significava possederlo. Ricordi il rito? Andavi in negozio, prendevi la scatola luccicante, quella che profumava di nuovo, infilavi il CD (o il DVD) nel PC e digitavi la tua chiave di licenza. Da quel momento, il cofanetto ben esposto, il programma era tuo per sempre – o almeno così sembrava. Oggi, quell’idea è praticamente archeologia digitale, tanto quanto il pulsante salva con l’icona del floppy disk (per i giovani: un supporto magnetico semirigido che conteneva poco più di 1Mb di dati).
Il modello di business dei software commerciali si è trasformato: le licenze perpetue stanno lasciando il posto a offerte mensili o annuali, piani differenziati con nomi altisonanti (Free, Basic, Pro, Business, Enterprise, SuperMegaCorporation…) e feature esclusive a seconda di quanto paghi. Il software si è liquefatto: non è più un prodotto, ma un servizio.
Il software liquido: da prodotto a servizio
Oggi il software lo “noleggi”. Paghi ogni mese, e se smetti… semplicemente non puoi più usarlo. Spesso tutto passa da un login, una connessione web e un browser: addio installazioni complesse, addio problemi di compatibilità – benvenuto SaaS (Software as a Service).
Le offerte sono cucite su misura: più paghi, più ottieni. L’abbonamento mensile è presentato come “un caffè al giorno” – una spesa minima che ti fa dimenticare che, in realtà, dovrai pagare per sempre. Se scegli l’annuale, ti regalano “due mesi”, così sembra tutto più conveniente. Eppure i vantaggi non mancano: software sempre aggiornato, supporto costante, nessun rischio di rimanere con una versione obsoleta o non più compatibile col nuovo sistema operativo.
Certo, c’è anche il rovescio della medaglia: il software in realtà, anche quando lo “compravi”, non è mai stato veramente tuo. Legalmente, anche con le vecchie licenze, hai sempre e solo acquistato un diritto d’uso, non la proprietà. Ma almeno prima potevi usare un software per anni senza cacciare una lira in più, il disco potevi toccarlo, la chiave potevi rivenderla (magari di straforo, perché sulla possibilità di rivendita del software ci sono dubbi legislativi).
La rivincita delle “lifetime license”: il rischio dell’azzardo
Negli ultimi anni si è fatto strada un fenomeno curioso: le lifetime license anche per software SaaS. Più che una formula commerciale, una scommessa (da una parte e dall’altra). Su piattaforme come AppSumo, alcune software house emergenti vendono per poche centinaia di euro l’accesso “a vita” a un servizio che, per tutti gli altri, è a pagamento mensile o annuale. Il segreto? Incassare in fretta liquidità, farsi conoscere, magari sperare che il passaparola porti nuovi utenti che pagheranno abbonamenti classici.
I piani “lifetime” sono a livelli (TIER): più paghi, meno limiti, più funzionalità, possibilità di usare il software “white label”, senza il brand originario. Un affare… forse. Perché il rischio c’è, e lo paghi sia tu sia il produttore: se il progetto non regge nel tempo (e succede spesso), il servizio chiude, e il tuo investimento va in fumo. D’altronde, mantenere un SaaS costa: server, app, integrazioni con servizi esterni, magari intelligenze artificiali sempre più affamate di potenza di calcolo e di API a pagamento. Insomma: se tanti comprano la licenza a vita e pochi pagano l’abbonamento, la matematica non perdona.
Un futuro sempre più SaaS (e sempre meno “tuo”)
La direzione sembra segnata: tutto si sposta sul web, tutto è servizio. I software dialogano tra loro grazie a connettori come Zapier e Webhook, si integrano nell’ecosistema personale e aziendale, ti seguono ovunque tu vada (basta un browser e una connessione). Più che una workstation, basterà sempre più spesso un Chromebook, e il potere di calcolo sarà remoto, condiviso, momentaneo, accessibile anche da smartphone conservando il lavoro in corso senza interruzioni.
Forse è solo il prossimo passo della digitalizzazione, o forse è una nuova dipendenza che stiamo costruendo pezzo dopo pezzo. Il software non si compra più, si affitta, si consuma. E se smetti di pagare, resti fuori dalla porta.
Per ora, teniamoci stretti quei vecchi software acquistati “una volta per sempre” – magari non si aggiornano più, magari fanno le bizze sui nuovi sistemi operativi, ma sono come le auto d’epoca: hanno un valore speciale, sono pezzi unici di una stagione tecnologica che non tornerà più.