Foglie morte e burnout: non è colpa dell’autunno se siamo esauriti!

C’è chi dà la colpa al meteo, chi alla mancanza di luce, chi alle “vibrazioni basse di ottobre” (sì, ho sentito anche questo). Ma la verità è che no, non è il cambio di stagione a farci sentire come un paio di calzini dimenticati dietro al termosifone: è che siamo stanchi. Profondamente, cronicamente, collettivamente stanchi.

Ogni autunno la storia si ripete: l’estate finisce, ci promettiamo che “quest’anno rallentiamo” e invece ci ritroviamo, puntualmente, a fare più cose di prima. Lavoro, palestra, obiettivi da raggiungere, corsi di crescita personale, meditazione alle 6 di mattina, newsletter motivazionali eccetera. Siamo diventati una specie di criceti caffeinomani su una ruota che non si ferma mai.

E quando arriva ottobre e l’energia cala – perché sì, la natura intera lo fa – pensiamo ci sia qualcosa di sbagliato in noi. “Sarà il cambio di stagione”, ci diciamo. Spoiler: non è l’autunno il problema. È la società. Il fottuto capitalismo!

L’ossessione di fare (anche quando non dovremmo)

Viviamo in un sistema che ci ha convinti che valiamo solo se produciamo. Se non stai facendo, migliorando, costruendo o crescendo, sei fermo. E fermarsi, ci dicono, è per i deboli.

Peccato che la natura – quella stessa natura da cui veniamo e a cui apparteniamo – funzioni esattamente all’opposto. Nessun albero fiorisce 365 giorni l’anno. Nessun animale è attivo e iper-produttivo senza pausa. Eppure noi sì: noi dobbiamo essere sempre on, sempre connessi, sempre “al massimo”.

Risultato? Viviamo contro i nostri cicli biologici ed energetici.

L’autunno come maestro di vita

L’autunno, se lo osserviamo bene, è una stagione di saggezza pura. Gli alberi lasciano andare ciò che non serve per prepararsi all’inverno. Non è morte: è conservazione di energia. Non è fine: è transizione.

Noi, invece, facciamo l’opposto. Quando il nostro corpo e la nostra mente ci chiedono di rallentare, noi acceleriamo. Quando sarebbe tempo di introspezione, riempiamo l’agenda. Quando l’energia cala, beviamo l’ennesimo caffè. E poi ci chiediamo perché siamo esausti!

Il potere sovversivo del “non fare”

In una società che glorifica il multitasking e la produttività, rallentare è un atto politico. Dire “oggi non faccio niente” è un gesto rivoluzionario. Scegliere di non rispondere subito a un’email, di dormire di più, di non iniziare un nuovo progetto solo perché “bisogna” è un modo per reclamare la nostra energia.

E non parlo di pigrizia o di fuga. Parlo di sostenibilità umana. Parlo di riconoscere che non siamo macchine – e che nemmeno le macchine funzionano 24 ore su 24 senza manutenzione.

Foglie secche e burnout: la metafora è tutta qui

Ogni autunno la natura ci mostra ciò che dovremmo fare anche noi: lasciare andare ciò che pesa, ciò che non serve, ciò che ci svuota. Ma invece di cadere come le foglie, restiamo attaccati a ogni ramo – a ogni progetto, a ogni aspettativa, a ogni ruolo – finché non cadiamo a pezzi noi.

Il burnout, alla fine, non è altro che una forma estrema di “non lasciare andare”. È la nostra incapacità di accettare che i cicli esistono, che non possiamo essere sempre in primavera.

In conclusione: se perfino gli alberi si fermano, perché noi no?

Forse quest’anno, invece di cercare di “sconfiggere” la stanchezza autunnale con caffè, vitamine e corsi di produttività, potremmo semplicemente ascoltarla. Potremmo concederci di rallentare, di dormire di più, di fare meno. Non è debolezza, né mancanza di ambizione: è semplicemente vita. E se perfino gli alberi più forti si spogliano per rinascere, anche noi possiamo imparare a farlo.

Morale della favola: la prossima volta che qualcuno ti dice “è solo il cambio di stagione”, rispondi con un sorriso: “No, caro, è il capitalismo”.

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