A Palermo, pochi giorni fa, un ragazzo di nome Paolo Taormina ha perso la vita per futili motivi. Una lite, un diverbio apparentemente insignificante, e poi il gesto improvviso e sconsiderato di un altro uomo. Non un pazzo, non un folle in preda a deliri allucinati, ma qualcuno che ha deciso – lucidamente, senza comprendere fino in fondo – di cancellare l’esistenza di un altro essere umano in un secondo. Un colpo, un’azione, e la storia di Paolo si è fermata per sempre.
Eppure quella vita non era una pagina bianca: era un libro già scritto in parte, con tante pagine ancora da vivere. La vita di Paolo era stata costruita mattoncino dopo mattoncino: la madre che lo ha messo al mondo e che probabilmente ha affrontato dolori, paure e gioie in quel momento unico del parto; la scuola che lo ha visto crescere; la società che, in mille modi, lo ha accompagnato; lui stesso, con la propria storia personale, fatta di scelte, errori, successi, affetti, speranze. Tutti questi elementi insieme componevano una vita che aveva un senso, un percorso, un significato.
Da padre, penso a quanti sacrifici facciamo per i figli. Giorno dopo giorno costruiamo con pazienza un avvenire, l’educazione, i valori, il carattere. Ogni piccolo gesto è parte di un dono al mondo: una parte di noi che sopravvive attraverso di loro, la prosecuzione di un DNA che risponde a un bisogno antico, forse atavico, di sapere di “esserci” anche dopo la nostra morte.
Tutto questo può essere cancellato in un attimo da un gesto privo di empatia, di profondità di pensiero, dalla mancanza di educazione alla consapevolezza. Chi compie tali azioni non è un malato di mente, ma una persona che non ha mai imparato a capire ciò che distrugge quando decide di privare un altro della vita.
È come tagliare un albero secolare per costruire uno stuzzicadenti: un gesto sproporzionato, cieco, assurdo. Un albero che ha resistito alle stagioni, che ha cresciuto rami, foglie, radici profonde… abbattuto in un istante per un capriccio, per un fine insignificante. Così è la vita tolta con la violenza: un’opera della natura, della società e dell’impegno umano, annientata da chi si lascia trascinare dagli istinti primordiali senza far prevalere la ragione.
Questa mancanza di empatia è forse il segno più inquietante. Ci raccontiamo che certi gesti appartengono a “orchi”, “pazzi” o “criminali” per tranquillizzarci, per sentirci distanti da quella crudeltà. Ma la natura umana contiene anche questo lato oscuro: sadismo, supremazia, machismo, razzismo. È più comodo pensare che “i cattivi” siano figure eccezionali, mostri isolati. Ma forse la realtà è diversa: quelle radici malate ci sono anche nella quotidianità, nascoste in un angolo della società. Piccoli gesti, comportamenti subdoli, umiliazioni, indifferenza verso gli altri… azioni che non finiscono in prima pagina, ma che preparano il terreno alla violenza.
La morte di Paolo Taormina deve farci riflettere: quanto vale una vita? Per alcuni, evidentemente, nulla. Ma il valore di un’esistenza non si misura con il metro del momento, della rabbia o dell’impulso. Vale per il tempo speso a crescere, per il dolore e le gioie vissute, per le speranze future e per ciò che ogni essere umano porta agli altri.
Un secondo può cancellare decenni, ma non potrà mai cambiare ciò che quella vita ha significato. Sta a noi, come società, decidere se vogliamo continuare a vivere in un mondo dove il rispetto per la vita è fragile come un filo, o se vogliamo renderlo solido come le radici di quell’albero che nessuno dovrebbe abbattere per costruire uno stuzzicadenti.