9 novembre 2009/1989: mostra-inno al “non compleanno”, Atelier Montevergini – Contemporary EluQubration

L’anno scorso ho visto Berlino.
L’assurdo fu che – alla resa dei conti e tralasciando le varie menate del viaggio – è stato faticoso accettare cosa fosse veramente quella città, come fosse poco fredda (o magari era solo agosto), cosa fosse stato e stata, lì, in mezzo al bello. E questo nonostante le infinite rappresaglie storiche sparpagliate praticamente ovunque: la chiesa artisticamente bombardata, i pezzi di muro sparsi negli angoli e perfino incorporati sulle cartoline a mo’ di biscotto-cinese-della-fortuna, i mille monumenti agli ebrei macerati; tutto perfetto e in mostra, nel lucido, moderno, splendore attuale.

Il persistente squallore della Karl-Marx-Allee e la stupenda decadenza bohemiènne del Kreuzberg non sono stati così cattivi da farmi capire. Né lo è stato l’odore di vecchia utilità del poco muro ancora al suo posto.

Il fatto è che Berlino oggi è strana: è diversa dalla storia che ci immagini dietro; quella storia è solo museo, ma non la sua realtà. La realtà è stata cancellata meticolosamente, e ad un anno e due mesi dalla vera Berlin, è stato il Montevergini a dirmelo.

Quel posto un po’ intellettualmente patinato, infilato in viuzze intellettualmente retrò e con la sviolinata assolutamente efficace dell’etiologia latina di questo e di quello, è un covo di questioni interessanti, a quanto pare.

La questione del 9 novembre era appunto Berlino, quella di ieri, quella di oggi; e quindi il muro col suo non-compleanno, che culo! Che culo, perché il compleanno non c’è, della nascita ce ne infischiamo, per fortuna; qui festeggiamo il compleanno del “non compleanno”, ovvero di quella desiderata morte-cancellazione-demolizione dell’odioso cemento simbolico infra Teteskia Est-Ovest.

Lo spazio non è molto, ma dentro quel Montevergini è sapientemente usato; videoinstallazioni, documentari, metafore, simbolismi, crudismi, scale, esposizioni di date: tutto medita e fa meditare attorno al 20° anniversario della caduta del Muro, attorno ai “Muri Everywhere” (cit.) ovunque e in tutte le loro forme, salse, colori.

Perché il ricordo preserva ciò che sembra non esistere più; e dove il ricordo può fallire umanissimamente o essere annullato stronzamente, la pellicola restituisce il processo vivo, sfregiato dalla storia e dal tempo: foto su foto, fotogramma per fotogramma, l’osservatore contempla in un sogno lucido ciò che non esiste più.

Ortszeit – Local Time racconta con le foto double-face di Stefan Koppelkamm il cambiamento dilagante di una città: scorci di strade ed edifici della ex Germania Est, fotografati immediatamente dopo la caduta del Muro e poi dieci anni dopo. Viaggi temporali.

Berlin changes faster than my heart è il titolo onnicomprensivo di una rassegna di bene e di male, un ombrello di videoinstallazioni che accoglie storie di un Muro per fortuna defunto, storie di mura purtroppo defunte, per dire che “sono le nuvole le uniche mura che non cadono”.

Reynold Reynolds lo scrive chiaro, con poche parole battute a macchina su un fotogramma rigorosamente in bianco&nero che rivedrei, rileggerei, riammirerei per la sua chiarezza spietatamente spezza-sogni, tanto duro da suscitare l’ammirazione di una cazzo di sognatrice.

Otto minuti per raccontare della caduta non solo frantuma-incubo del Muro, ma anche di quella frantuma-vite, frantuma-storia che è lo spazzar via indiscriminato. Non resiste nulla, non resiste il Palazzo della Repubblica della DDR, pieno di troppe anime di un’epoca che – vuoi o non vuoi – non puoi cancellare così, ipnotizzato dalla foga unificatrice/uniformatrice, perché non tutto è marcio. La gente manifesta; ma un giorno puff. Sparito. Le gru sono insetti, mantidi religiose e nere che lavorano alacremente, smantellano realtà nella notte di Last Day of the Republik: filmate ad arte per documentare ciò che con la sua assenza non potrà più documentare ciò che è stato.

Accanto al grande schermo (uno dei tanti), una scala nodosa e al contempo sinuosa si attorciglia su se stessa e si restringe, perché la salita è dura, poi in vetta spunta un fiore: nero, deciso, sudato.

Trasformazione, distruzione e ricostruzione, riprogettazione.

Ma.


“In questo mondo tutto rimane irrisolto
e nel migliore dei casi non si costruisce
Niente”

                                                                                                                                                 ?

(adesso devo tornarci, mi sa, a Berlino.)

3 thoughts on “9 novembre 2009/1989: mostra-inno al “non compleanno”, Atelier Montevergini – Contemporary EluQubration

  1. Bello bello bello! Stra-sentita divagazione su un “non-compleanno” festeggiato in maniera artisticamente perfetta.

    Anche le video-istallazioni hanno un’anima.

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