“Maternità”… Cosa esser ciò?
- Non so più quante frasi mi sono state dette o ho letto su come e cosa sia. Partiamo da esclamazioni tipizzate come: “Ma che fai, vai in gita?!? Ma non potevi evitare?”; “Fatti coccolare, ché sei incinta!!!”; “A te per ora è concesso tutto!”; “Devi stare in una teca!!! Letto, niente lavoro, nulla!”; “Vai avanti tu”, “scegli il posto tu”, “decidi tu”… etc., “…per ora vieni prima tu!”; “Goditelo!” (con eventuale sottotesto: “…perché durerà poco”). …E dietro di me: (a) la minaccia di un futuro funesto, della genitorialità come limite e malattia; (b) e poi, a seguire, pure qualche amica che, come me in passato, ha vissuto il dolore di avere difficoltà a realizzare il proprio desiderio… oppure una donna o una coppia che ha scelto di non avere figli, poiché anche questo si può scegliere e merita rispetto come ogni altra scelta di vita! E perché ci sono tanti modi di essere madri, padri, genitori, non solo quello di generare biologicamente! Perché ordunque devo essere la sola a scegliere il gusto del gelato da acquistare per la cena di tanti (e dopo il parto, magari, mi devo accollare di non essere più interpellata?)?
- Inoltre, da quando siamo “2 in 1” ho visto cambiare (in meglio) nei miei confronti l’atteggiamento di molte conoscenti, che mi guardano oggi con maggiore benevolenza che in passato poiché “gravida”. Per carità, ne sono felice, ma… prima cosa avevo di diverso in quanto Noemi? Non essere incinta o mamma toglie dunque un valore sociale alla mia vita? …Eppure certi datori di lavoro direbbero addirittura il contrario. Che confusione!
- Intanto, all’ospedale in cui partorirò, non è concesso al padre di assistere mamma e bambino. In reparto solo donne, tranne che per un’ora-visite al dì! Ed io che non ho né mamma, né sorelle, né cugine disponibili o altro, mi posso solo attaccare al tram…
Ma il punto è che comunque vorrei con me il papà. Certo: paghi qualcunA, e risolvi! Ma davvero in un mondo in cui si blabla tanto di parità e di gender fluid ed in cui inoltre non esistono più né le doule, né le famiglie, né i villaggi-comunità, ciò ci assicurerebbe empatia e assistenza solo poiché il soggetto ad esse preposto avrebbe la vagina? Non credo affatto.
Un’amica del nord ha definito in effetti “barbaro” questo provvedimento di una pubblica istituzione. Un’altra, sempre del nord Italia, mi suggeriva di avviare proteste via pec. Io penso a tutte quelle conoscenti che, d’altro canto, parlano di “maternità” (non di “genitorialità”, attenzione) quasi come prerogativa scontata della donna-sacrificio che deve osannarla… E penso a quanto sia ovvio che un ospedale palermitano, farcito da una tale cultura patriarcale, la interpreti appieno e non consideri l’importanza per una puerpera e il suo bimbo di avere il proprio compagno accanto in un momento delicato come il post-partum.