Onde e paraocchi

Lo avevamo previsto, temuto, scongiurato. Ci eravamo mobilitati affinchè certe decisioni prese troppo in alto non andassero in porto. Il terrore procurato dalla vicinanza tra le parole “Università” e “Azienda” aveva pungolato anche i più pigri.  Ci eravamo beccati sfilze di insulti, ma anche manifestazioni di stima. Il mio pensiero va a una vecchina tutta bianca che da una finestra saluta il corteo degli studenti con simpatia, sorridendo, chissà a cosa pensa. Su una parete, nella mia stanza, c’è ancora un manifesto di MicroMega con su scritto “Un’onda vi seppellirà”.

Bene, l’onda non vi ha seppelliti. Si è infranta contro gli scogli, assieme a molte speranze. Non ci avete ascoltati. Qualcuno ha blaterato qualcosa sull’esercito dentro le facoltà, facendo rabbrividire anche i meno democratici. La riforma è passata, tutto è tornato normale. I più bacchettoni hanno gioito per il riprendere del normale corso delle cose, amen.

Il normale corso degli eventi, a dirla tutta, non è poi così normale. Sul sito di Lettere dell’Università di Palermo si legge un concorso per collaborazioni a titolo gratuito. A titolo gratuito? Sì, come il volontariato. Lo fai perché è il tuo lavoro, ma a causa dei tagli all’università, non ti pagano. Lo fai per una questione di prestigio. Mi chiedo come si cucini il prestigio. Io che sono vegetariana posso mangiarlo?

Non è tutto. Non solo i fondi per la ricerca e la didattica sono stati tagliati, non solo l’unica cosa funzionante in questo malandrino Paese è stata riorganizzata così da provocare l’orticaria ai maestri più accorti, ai professori più diligenti, e a tutti gli educatori, così che anche Piaget si sta rivoltando nella tomba, non solo le tasse universitarie sono in continuo aumento per tutte le fasce di reddito, non solo la carta è un lusso che non tutte le strutture dell’istruzione pubblica possono permettersi, ma ecco la novità: con il DDL 1905 i ricercatori avranno gli stessi obblighi didattici dei docenti di ruolo e di quelli associati, ma la loro funzione docente, appunto, non verrà riconosciuta, né dal punto di vista del curriculum, né con una retribuzione aggiuntiva. Privati, inoltre, di qualunque rappresentanza o potere nel governo della macchina universitaria, i ricercatori vengono ufficialmente trasformati in “professori di terza categoria, a basso costo e pre-pensionabili, a vita”.

Nel frattempo i professori che vanno in pensione vengono invitati a continuare a prestare servizio a titolo gratuito. I più illuminati si rifiutano di farlo, nel rispetto delle stagioni della vita, nel rispetto di quei giovani che hanno diritto a uno stipendio, perché anche loro vogliono farsi una famiglia.

Contro questo decreto legge si battono quindi i ricercatori di tutta Italia. La protesta è partita da Napoli, e si concretizza nel rifiuto di insegnare se il loro status di docente non viene riconosciuto. Questo significa che se il governo italiano non risponde in questo senso, a settembre l’anno accademico di moltissimi atenei italiani potrebbe non partire.

Alcuni studenti si sono già mobilitati per chiedere che il diritto allo studio venga rispettato.

Alcuni criticano aspramente questa presa di posizione dei ricercatori.

La protesta dei ricercatori, però, è inserita in un quadro ben più ampio. La trasformazione dell’Università in azienda, infatti, rischia di essere l’ultima delle azioni di distruzione, attuate da questa nuova politica trash contro i centri di produzione del pensiero. Forse è il caso di gettare via i paraocchi, e guardare quello che sta accadendo da un punto di vista meno soggettivo. Forse dovremmo manifestare solidarietà a questi lavoratori, che hanno sulle spalle l’educazione e la ricerca, due fonti inesauribili di progresso per qualunque Paese civilizzato. L’alternativa è desolante.  La fuga dei cervelli subirà un’impennata, e in questa penisola soleggiata e triste rimarranno soltanto re nani e regine puttane, col loro seguito di calciatori decerebrati e vallette.

Un carnevale osceno e ignorante.

Qui il documento politico dell’Assemblea dei Ricercatori dell’Università di Palermo.

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