E questo branco di coglioni sparirà

Conosciamo bene i nostri tempi e, come è giusto che sia, ci sono i disinteressati che non sapranno cosa stanno vivendo e quelli che almeno ci provano a capire, a decifrare, lontano dalle frasi fatte della pubblicità. I Baustelle hanno appena pubblicato un disco strano, I mistici dell’occidente, citazione di Elemire Zolla, che è appunto una cronaca della nostra epoca, sferzante, ironica e un po’ malinconica.

Premete play e se state camminando in mezzo al traffico o siete in bicicletta, vi fermerete probabilmente per i due minuti e passa di un organo dall’incedere celestiale, e forse vi chiederete dove andrà a finire. L’indaco inizia così, delicata introduzione alla cronistoria dei nostri tempi: “Non angosciarti più/che bisogno c’è/quando partono le rondini/lasciale andare..”, per poi continuare con parole di “incerta sicurezza” su qualcosa che forse merita di più della banale disillusione: “e non soffrire più/ che in fondo forse c’è/ aldilà di Gibilterra/ un indaco mare. San Francesco ci presenta ancora il cielo, no, non è la svolta cattolica dei Baustelle (e neanche la mia), ma devo dire che tra i santi è sicuramente quello che mi ha sempre fatto più simpatia, sarà che parlava con gli animali o sarà che gli uomini gli facevano così tanto schifo, o ancora che si dice sia stato coerente con l’idea di distaccarsi dalla materialità della vita terrena. Oggi i preti vanno in Bmw..

Ma la canzone che dà il titolo al disco è quella che non ti aspetti: un po’ tra il primo De Andrè e il Morricone nei film di Leone, canta di come la povertà, forse ancora quella di San Francesco, non conosca i turbamenti della vita moderna: “nè ladri e assassini e fulmini e siccità”, quelli indotti dalla società di oggi, che, come abbiamo visto nel meraviglioso Goodbye Lenin, riesce a prendersi tutto se vuole, la cultura, le tradizioni, il nostro linguaggio, i nostri corpi, per tappezzarlo di pubblicità. E venderlo e venderci. O ancora quando i tg devono farci preoccupare dell’arrivo del freddo, del caldo, come se non fossero eventi naturali.

Della miseria in cui versano tante famiglie, dell’inquietudine in cui sguazzano tanti giovani che non trovano le motivazioni per continuare a studiare, che si sbattono per essere al passo con questi tempi veloci, i presidenti non lo sanno e fanno le grandi abbuffate, festeggiano e quando riescono ci tappano la boccuccia che parla troppo.

La voglia di lasciarsi tutto quello che ti hanno obbligato ad essere e ad avere, ripetuto ne Gli Spietati che sono quelli che partono e non tornano più, che hanno avuto coraggio forse o la vigliaccheria di non affrontare gli ostacoli. Bianconi aveva detto mesi fa di volere andarsene via dall’Italia nella quale non si rispecchiava, e penso che tutti abbiamo pensato prima o poi di lasciarli sbranare tra di loro sti porci che ci governano.

Ancora un paesaggio visto e stravisto quello della spiaggia di Follonica che l’uomo usa come discarica, come se senza spiaggia riuscisse a vivere lo stesso, come se ci fosse sempre a sua disposizione qualche coglione che pulisca. Come se vivere nella merda fosse una condizione quasi ricercata, tra i gatti e i piccioni schiacciati, con i bambini che appena usciti di casa gettano la plastica della merendina, proprio davanti la porta. La vedo spesso certa gente impegnarsi in “alti” gesti di maleducazione.

Canzoni rivolte a Dio, Cristo tra cimiteri e “vite violente”, col tempo che va veloce e ti lascia i segni senza che te ne accorga (Le rane), con speranze di felicità durature (Groupies) e quel francescanesimo laico che Bianconi, in un intervista ad XL, incita ad osservare per rispettare e non sprecare quello che ormai possediamo non dimenticandoci della dignità e di ciò che ci circonda.

Così che, infine, una maggiore attenzione impedisca ai porci di manovrarci gratuitamente, e possa un giorno farsi dinanzi a noi una rivoluzione che ripulisca un po’.

Prima che si finisca come la Grecia…

3 thoughts on “E questo branco di coglioni sparirà

  1. Mi spiace per il buon Gas, ma trovo i Baustelle una sopravvalutata espressione di un’Italia musicale sempre più trascurabile e vittima di se stessa.

    In fede,

    Giasù

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