Siamo tutti diversi, siamo tutti uguali

foto di www.giuseppeborsoi.it

Tutto parte da un discorso leggero. Uno di quei discorsi in cui una persona dice una parola ambigua e tu fai una domanda, perchè non hai ben capito. Un minuscolo punto interrogativo che scopre un burrone, uno squarcio tra quello che pensi tu, e quello che credevi pensasse il tuo interlocutore. La bocca rimane semi aperta, in segno di stupore, il cervello si surriscalda, il cuore ti batte un po’ più veloce, pensi: mi starà prendendo in giro?

Il discorso verte sulla liceità di organizzare un Gay Pride. Perché, secondo il mio interlocutore, il Gay Pride fatto così, con un corteo e della gente colorata che “ostenta” la propria sessualità, non ha senso. Rischia di allontanare gli omosessuali dagli eterosessuali. E’ troppo, la gente potrebbe non accettare. E’ una manifestazione “violenta”, te lo sbattono in faccia questi qui, mica te lo mandano a dire.

Io ho il pallino delle parole, forse lo sapete. Non puoi dire “ostenta” e “violenza” e pensare di farla franca.

La tv “ostenta” sessualità ad ogni ora del giorno e della notte, una sessualità forse etero, una sessualità fallocentrica magari, e nessuno sembra farci caso. Ognuno di noi, ogni giorno, “ostenta” il proprio corpo, lo usa per compiere delle azioni, sottolineandone le doti, nascondendo i difetti. Ogni incontro, anche quello col salumiere, per intenderci, è un incontro di corpi ostentati, mostrati, in performance comunicative. Mostrare e usare il corpo per compiere delle azioni è una caratteristica dell’essere vivente. Però se sei gay e stringi la mano del tuo compagno in pubblico, ostenti la tua sessualità. Se sei una donna e baci un’altra donna, infastidisci, sei fuori luogo, desti ilarità, derisione.

“Violenza” poi? Sono violenti i cortei? E’ violenta la musica? Forse che lustrini e zeppe hanno mai fatto male a qualcuno?

Mi pare che la vera violenza sia quella fisica, quella che ti arriva addosso alle spalle, dopo un bacio innocente in pubblico. La vera violenza è quella che ti costringe a vedere la persona che ami presa a pugni, picchiata e insultata, solo perchè ha osato “ostentare” il suo sentimento non standardizzato in pubblico. La violenza è quella psicologica, che ti costringe a rinnegare la tua natura, i tuoi istinti, i tuoi desideri e sentimenti, se non vuoi essere licenziato, o deriso, o allontanato. Violenza è quella che ti spinge ad annullare e reprimere una parte della tua personalità, perché potrebbe dar fastidio, potrebbe non piacere.

Mi dicono che questo pride peggiorerà la situazione degli omosessuali, farà perdere credibilità. Mi dicono “meglio sarebbe un corteo in cui non si capisca che sono omosessuali”, perché il loro desiderio è essere uguali agli altri, non distinguersi.

Uguali agli altri. E’ lo stesso abominevole errore che fecero le femministe old style.

Considerare la parola “uguaglianza” non come sinonimo di parità di diritti, ma come sinonimo di assenza di differenze. E quindi piuttosto che lottare perché le identità femminili avessero la stessa dignità di quelle maschili, lottarono perché la donna avesse il diritto di assumere un’identità maschile.

Molti difensori fai-da-te dei diritti affermano questo astratto concetto, “uguaglianza”. Come se la nostra utopia fosse una società in cui siamo tutti uguali. Tanti Marco Rossi tutti con lo stesso standard fisico, morale, psicologico, economico. Tutti bianchi, maschi, ricchi ma non troppo, cultura ma non troppa, televisore schermo piatto, mogliettina, pargoli, magari un cane ma di razza, sabato pomeriggio al supermercato. Se esci dalla norma allora ti tocca entrare nell’altra norma. Marco Rossi gay, ma stesso standard fisico, morale, psicologico, economico, bianco, maschio, ricco ma non troppo, cultura ma non troppa, televisore schermo piatto, al posto della mogliettina un compagno, ma anche lui bianco, maschio, ricco ma non troppo… eccetera. E soprattutto che non si noti che Marco Rossi è gay, perché la sessualità è un fatto privato.

Un incubo di omologazione.

Quanto felice sarebbe un mondo in cui ognuno è libero di essere se stesso, di essere diverso. Quanto più bello sarebbe vedere vite tutte diverse, corpi tutti diversi, amori tutti diversi. Quanto avanti sarebbe l’uomo, se riuscisse ad uscire dai vincoli dell’abitudine, della norma, dello standard.

Ma non è così. E allora permettetemi di fare alcune doverose precisazioni.

Nel 1992 a Montreal vi furono accesissimi dibattiti sul “dress code” da adottare in vista del Pride di quell’anno. La linea stabilita fu quella della moderazione, della normalità, “anti drag, anti-leather, anti-fabulous” e gli organizzatori preferirono limitare le performance più “hot” a determinati locali, in determinate ore, a conclusione della parata. Contro questa rigidità di norme si scagliarono vari personaggi, teorici e attivisti dei diritti degli omosessuali, i quali trovarono inaccettabile la contraddizione insita nel permettere la presenza delle Drag Queen solo in alcuni luoghi, già peraltro gayzzati, se così si può dire, come appunto i gay bar, per non offendere gli spettatori (etero) della parata con scene troppo ardite. Inoltre si chiesero quale fosse il significato della parola “pride”, se la manifestazione più immediata della propria libertà, la libertà del corpo, che sottende a una libertà di spirito e sentimenti, gli veniva negata.

E in effetti mi chiedo anche io come si possa pensare di stabilire un dress code per una manifestazione per il diritto di scegliere quale identità assumere. L’identità è una cosa che riguarda la propria storia, la psiche, la personalità, l’ambiente. Ma non è forse identità anche quella che decidiamo ogni mattina quando ci guardiamo allo specchio, dopo aver scelto un vestito che ci renda “riconoscibili” a noi stessi, ancor prima che agli altri?

Ecco, dunque. Può non piacervi, ma non siamo tutti uguali, esistono identità che sono fuori dai vostri schemi mentali. Esistono identità ibride, che vogliono la libertà di “ostentare” i propri costumi ibridi, la propria sessualità ibrida e non convenzionale. Vogliono questa libertà perché gli spetta. Perché, d’altronde, non ha mai ucciso nessuno la libertà di amare.

P.S. Il Collettivo Abattoir partecipa ufficialmente al Sicilia Pride, ci vediamo a Palermo al corteo del 19 giugno!

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