Dall’altra parte

E’ successo ancora una volta: un altro titolo straniero è stato tradotto male.
Non mi sono ancora ripresa dal duro colpo inflittomi dalla traduzione di Eternal sunshine of spotless mind in Se mi lasci ti cancello, titolo che trasforma un film molto bello e profondo nella tipica commediola americana di dubbio gusto, attirando forse una fascia più ampia di pubblico, e inimicandosi quelli che forse potrebbero apprezzare la poesia intrinseca di titolo e film. Il motivo per cui una tale decisione è stata presa è abbastanza ovvio: leggere sulla pagina dei film al cinema “L’eterno splendore della mente senza macchia”  avrebbe sicuramente fatto desistere alcuni potenziali spettatori, impauriti dall’altisonanza di un verso di Alexander Pope, poeta che viene citato anche all’interno del film, e che probabilmente sta ancora rivoltandosi nella tomba come una frittatina su una padella troppo calda. Hanno dunque deciso che “Se mi lasci, ti cancello” era più sbrigativo, pratico, commerciale, vendibile e rifletteva, addirittura, l’essenza del film: gente che si molla, e gente che dimentica. Fine.

Qualcuno, però, mi spieghi perchè questo principio di traduzione più che libera viene applicato anche a due grandi film di Fatih Akin (regista tedesco di origine turca), che escono in Italia coi titoli “La sposa turca” e “Ai confini del paradiso”, i cui titoli originali sono, rispettivamente, Gegen die Wand, ossia “Contro il muro”, e Auf der anderen Seite, ossia “Dall’altra parte”.

Gegen die Wand/Contro il muro è stato reso con “La sposa turca”. Effettivamente i protagonisti sono turchi emigrati in Germania, ed effettivamente si parla di un matrimonio, ma il senso del titolo originale è molto più profondo e sensato.

I due protagonisti, infatti, si incontrano in una struttura ospedaliera, dopo un tentativo di suicidio: lei ha provato a suicidarsi tagliandosi le vene, lui ha ammaccato l’acceleratore della sua auto fino a schiantarsi contro un muro, in una sequenza di geniale accostamento musica-immagini, in cui i Depeche Mode cantano I feel you, mentre i trattini della linea bianca sulla strada vengono illuminati dagli abbaglianti, creando un’intermittenza che troppo bene si sposa con la musica.
La sequenza madre del film (l’auto a tutta velocità, i trattini ritmati della strada, la musica, e lo schianto), che è poi l’origine di tutta la storia, viene, in questo caso, totalmente annullata da un titolo, quello italiano, che invece mette al centro di tutto, ancora una volta, una sintesi sgangherata della storia: lei è turca, lei si sposa.

La vera storia, invece, è quella di due persone che si trovano per caso, per un caso tragico, e che in questa casualità vedono un barlume di speranza. Lui, annichilito da un’esistenza apatica e totalmente priva di stimoli, raccoglitore di bottiglie vuote, gran bevitore, col cuore spezzato dalla morte della donna amata, col pugno facile, e un faccino poco raccomandabile, dopo lo schianto incontra lei, ragazzina-quasi-donna dalla spiccata vitalità, bramosa di libertà, trattenuta dai vincoli di una cultura che le impedisce di essere una donna al di fuori di un matrimonio, oppressa dalle figure maschili della famiglia, repressa da regole che soffocano la sua natura ribelle, e per liberarsi decide di chiedere a lui di sposarla, in un finto matrimonio che li obbligherà soltanto a vivere sotto lo stesso tetto, senza alcun tipo di vincolo.
La trama si evolve in risvolti imprevedibili, o forse prevedibili, e comunque tragici e appassionati. Non posso svelarvi altro, ma soltanto una piccola postilla. La canzone dei Depeche Mode, e la sequenza musica-immagini torna ancora, perchè lo schianto contro il muro non è soltanto fisico, ma anche esistenziale. Nel corso della storia, come nel corso dell’esistenza, alcune persone sono destinate a schiantarsi contro un muro, sia volontariamente, sia per forza di cose. Ed è questo che narra il film, lo schianto, la perdita, l’autodistruzione di chi, pur avendoci provato, non ce la fa, ed è un concetto universale, non tedesco, non turco, umano, espresso alla perfezione dal titolo originale, e non dalla sua versione italiana.

Link al video della scena in questione.

Andiamo al secondo film. Il titolo originale significa “Dall’altra parte”, quello tradotto è “Ai confini del paradiso”. La storia narra le vicende intrecciate di sei personaggi, tre coppie di genitore-figlio, che si collegano tramite rapporti d’amore o di morte. Tutto inizia dalla decisione di Ali, un uomo anziano di origine turca, emigrato a Brema, di prendere in casa sua una prostituta turca, Yeter, nonostante il disappunto del figlio, un giovane professore di letteratura tedesca.
In un accesso d’ira Ali uccide involontariamente Yeter, e viene incarcerato. Nejat, suo figlio, decide di andare in Turchia a cercare la figlia di Yeter per pagarle gli studi, ignaro del fatto che nel frattempo la ragazza, appartenente a un nucleo politico di resistenza, è scappata in Germania alla ricerca della madre, ricerca vana, che la porterà a conoscere una studentessa tedesca che diventerà la sua compagna.Le vicende si evolvono, e si intrecciano, con modalità quasi geometriche, forzate a detta di alcuni, affascinanti secondo me, ma qui mi fermo, e vi invito a guardare il film per conoscerne il seguito.

A questo punto, il senso del titolo può risultare più chiaro: dall’altra parte…di un immaginario asse di simmetria, che divide Turchia e Germania, Occidente e Oriente, o genitori e figli, o colpevoli e vittime; dall’altra parte della bilancia, dall’altra parte della medaglia, dall’altra parte dello specchio, potremmo dire, citando Carroll. In tutti i casi la simmetria, complicata, speculare, incompleta, domina i destini, gli eventi, le personalità dei protagonisti, come se alla fine di tutto si dovesse fare un bilancio, come se per un morto da questa parte, ce ne debba essere per forza uno dall’altra, come se per una personalità timida, chiusa, intimista, e silenziosa, ce ne sia una estroversa, attiva, ribelle, che le faccia da contrappeso, e non solo al di fuori, ma dentro la stessa persona! Come se per ogni colpa ci sia comunque una punizione, un pentimento, e in qualche modo, un perdono.
Il paradiso della versione italiana, però, non esiste, perchè l’altra parte è comunque terrena, umana, miserabile, materiale, e colpevole. L’altra parte non è il paradiso, non è nemmeno i confini del paradiso, che, secondo alcune interpretazioni, dovrebbe essere l’Occidente, l’Unione Europea, rispetto alla Turchia (e a questo proposito mi chiedo se chi formula queste ipotesi viva davvero nell’Unione Europea). Dall’altra parte è semplicemente un modo per dire che tutto si paga, e tutto si perdona, ma qui, ora, a costi altissimi, sentimentali, appassionati, dolorosi, e dunque decisamente umani.

4 thoughts on “Dall’altra parte

  1. I titoli dei film dovrebbero sempre rimanere quelli originali, a meno di traduzioni estremamente banali; tradurre “The Gladiator” in “Il Gladiatore” in fondo non fa male a nessuno.

    Questo perchè spesso le traduzioni non possono rendere il significato intrinseco di un’espressione, allo stesso modo, ad esempio, di come parole siciliane come “camurria, cafuddare, schiticchio”, possono essere solo insipidamente tradotte in “seccatura, picchiare, abbuffata”, perdendo quasi tutta la carica espressiva dietro al mero significato descrittivo.

    Ad esempio, tu hai tradotto “spotless” come “senza macchia”, traduzione secondo me sbagliata, dal momento questa espressione in italiano rimanda ad un concetto morale: macchia è quasi sempre sinonimo di sporco, da cui espressioni tipo “cavaliere senza macchia” o “fedina penale pulita”. Spot in realtà ha un significato molto più neutro, significa “segno”, senza implicare sfumature negative. Ad esempio una tela bianca sarebbe “spotless”, o un hard disk appena formattato. Il significato di questa parola rimanda in effetti alla trama del film, in cui i ricordi spariscono senza lasciare traccia, vengono cancellati dalla mente come si cancellano i file da un disco durante la formattazione.

    La traduzione ovviamente ha completamente stravolto il significato del titolo, ed è una cosa odiosa e che succede in continuazione, la lista dei film stuprati in questo modo è infinita. Ma la particolarità di questo esempio specifico, in realtà, ci riporta a quello che dicevo prima, cioè non esiste probabilmente una parola italiana che sia la perfetta traduzione di spotless, e questo condanna qualsiasi traduzione ad essere inesatta o addirittura fuorviante.

    Tra l’altro il nuovo titolo, rimandando anche ad altri simili come “Se mi lasci, ti sposo” ecc.. tende ad inserire il film nella categoria delle commedie romantiche leggere. Io stesso, pensando di vedere una commedia, e complice anche la presenza di Jim Carrey (attore non famoso per i suoi ruoli drammatici), sono rimasto un pò deluso quando ho scoperto che da ridere non c’era proprio un caxxo. Non è un brutto film, ma non è il tipo di film che volevo vedere quella sera, e mi sono sentito abbastanza preso per il culo.

    Per finire, avendo tanti amici stranieri, è capitato e capita di parlare di cinema, e non vi dico che camurria (sì, è la parola esatta) sia il non riuscire ad identificare un film perchè li conosciamo con titoli diversi e non ricollegabili. Quando non si ha Wikipedia a portata di mano, è un ostacolo alla comunicazione decisamente grosso e che crea stalli veramente grotteschi.

  2. Grazie, Alberto, del tuo commento. Hai perfettamente ragione, anche sui problemi di traduzione di “spotless”. Il massimo sarebbe, forse, lasciarlo in lingua originale, essendo una citazione di una poesia. Non so.

    In tutti i casi ci troviamo d’accordo sull’inutilità di cambiare il senso e il tono dei titoli rendendoli fuorvianti.

    Continua a leggerci :)

  3. In alcuni casi invece il compito di chi traduce è davvero arduo… questo è un esempio:
    Il film “Great Expectations” di Alfonso Cuaron viene distribuito in Italia con il titolo “Paradiso Perduto”, nome della villa luogo madre di tutte delle vicende narrate. Il titolo tradotto fa perdere di significato al colore che domina in un crescendo continuo le scene del film. In spagnolo, come in italiano, il verde è il colore della speranza, verde esperanza per l’appunto. “Great Expectations” è il titolo del romanzo di Dickens da cui è tratto il film, può essere tradotto in “Grandi Aspettative”, ma rievoca anche i termini “Green Expectations”, che possono essere tradotti in “Verdi Speranze”. “Paradiso perduto” è un titolo che mi piace, forse di più di tutte le traduzioni che si possono fare del titolo originale…

    Il film è un po’ americano (luoghi, attori, lingua), un po’ messicano (regista, uno dei balli chiave del film è Besame Mucho) e parecchio italiano (Robert De Niro, il nome italiano della villa “Paradiso Peduto”, il pittore italiano di fama mondiale Francesco Clemente che ha dipinto circa 500 acquerelli che vengono presentati nel film come opere del protagonista, e un misterioso Jerry Ragno – per dirla all’Americana Jerry Ragh – no, il gruppo gn italiano in inglese infatti non esiste – che in italiano diventa il sig. Spider).

    Proprio a proposito del sig. Ragno i traduttori non sono riusciti a dare un senso. Il film è ambientato in America, e i protagonisti parlano in inglese, Finn il protagonista parla con l’antagonista Signora Dinsmoor di un misterioso benefattore il sig. Spider:

    Finn: Signora Dinsmoor, un avvocato, un certo Spider è venuto a trovarmi
    Sig.ra Dinsmoor: Un ragno!
    Finn: Lo conosce?
    Sig.ra Dinsmoor: Spider significa ragno in inglese, devi imparare le lingue Finn…

    …ma il protagonista parla inglese!
    Il dialogo originale invece ha senso… anche perchè in un altra scena la protagonista femminile gli parla in francese e Finn non capisce che gli ha dato un addio… anche in questo caso il fatto che “Ragno” è un termine italiano è importante per comprendere chi sta dietro questa misteriosa figura… un boss mafioso… di certo il fatto che Spider in inglese voglia dire ragno non aiuta a comprendere ciò:

    Finn: Ms. Dinsmoor, a lawyer named Ragno came to see me.
    Ms, Dinsmoor: The spider.
    Finn: Do you know him?
    Ms, Dinsmoor: “Ragno” means “spider” in Italian. You must learn other languages.

    Inoltre Mr. Ragh-no verrà anche chiamato “Spiderman” dal protagonista. Poveri traduttori… in questo caso è davvero difficile fare un dialogo sensato…

    p.s.: Manu, “ammaccare” è un’espressione che comprendiamo solo dalle nostre parti come termine sostitutivo di pigiare, premere o schiacciare un tasto o un pulsante… me ne resi conto quando da adolescente andando a Torino mi guardavano male…

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