Il Genio di Palermo

Essere immersi in un vortice di fumi di carne arrosto, alcool, musica e gente. Ritrovarsi per un attimo sbalzati fuori, guardare le cose da una prospettiva straniata, osservare le cose intorno e vedere quella decadenza dai tratti romantici dalla quale fa capolino un uomo di pietra che sembra allattare un serpente.

Mi avvicino alla nicchia dentro la quale si trova: bisogna scostarsi leggermente dal fiume umano che si riversa in via Argentario in direzione di piazza Garraffello, l’edicola muraria protegge il genius loci, aggredito dal tempo ed anche lui sulla via della decadenza. I suoi piedi ormai non ci sono più, intorno a lui il muro è in frantumi, ma il suo sguardo è ancora fiero, nonostante nessuno si fermi più a guardarlo.

Io lo guardo, mi faccio strada tra le macchine posteggiate sotto la sua edicola, mi fermo a leggere il suo nome: Palermo lu Grandi, ha una lunga barba divisa, una corona in testa, il fisico di un uomo nel pieno delle sue forze, ed in braccio tiene, quasi in modo materno, un serpente, il quale si nutre dal suo petto.

Quell’uomo di pietra così decaduto, con una finestra proprio sulla sua testa, che poco ha a che fare con il periodo storico in cui è stato creato, è lì per proteggerci: insieme a Santa Rosalia, il Genio è il protettore “pagano” della Città di Palermo .

Rappresenta la città, i suoi abitanti, tutti i suoi abitanti, di ogni appartenenza etnica, protegge tutti, il crogiolo di gente che popola o ha popolato la nostra terra.

Di questi simboli laici in città ve ne sono ben otto, sei sculture, un affresco ed un mosaico.

In particolare ve ne è uno sotto cui vi è un’iscrizione in latino, Panormus conca aurea suos devotat alienos nutrit: questo è il Genio di Palazzo Pretorio, il quale è posto proprio sopra una conca, e si è ipotizzato, proprio per questo, che discenda da Cronos, dio del tempo e dell’abbondanza, il quale, secondo la tradizione, sarebbe al centro della conca d’oro donata a Palermo da Scipione l’Africano, come segno di gratitudine per averlo aiutato a sconfiggere Annibale.

La cosa che più attira la mia attenzione è il serpente, il modo in cui Palermo lu Grandi, lo tiene stretto a sé, nonostante esso morda: il genio sembra tenerlo tra le sue braccia come una madre che allatta il proprio figlio, è questa la cosa che, più di tutte le altre mi attira, di questo simbolo laico.

Il serpente non è il peccato, non viene allontanato, il serpente non tenta nessuno, rappresenta il cambiamento, la trasformazione, e questa trasformazione è dovuta proprio allo straniero, che non è allontanato, emarginato, ma nutrito, perché vi è la consapevolezza che il cambiamento, la trasformazione culturale, è opera delle genti che attraversano la nostra terra.

Un altro genio si è distinto come emblema di Palermo, ma in altri tempi. Nel 1848, i Palermitani, si riunivano intorno alla statua del Genio di Piazza Rivoluzione e quel Genio era il simbolo della lotta per la libertà, per la trasformazione, i palermitani avvolgevano intorno ad esso la bandiera tricolore eleggendolo simbolo laico di tutti i palermitani.

Come ho detto all’inizio, i Geni sparsi per la città di Palermo sono otto:

Genio del Porto in via Emerico Amari.

Genio dell’ Apoteosi di palermo, il quale è raffigurato in un affresco di Vito d’Anna, nella sala da ballo di palazzo Isnello.

Genio di Villa Giulia.

Genio del Mosaico, posizionato sopra la porta d’ingresso della Cappella Palatina.

Genio della Piazza della Rivoluzione.

Genio di Villa Fernandez.

Genio del Garraffo.

Genio del Palazzo Pretorio.

Bene, adesso, sapete dove sono, andate in giro per la città, cercateli, guardateli, rivolgete loro una preghiera laica, appropriatevi di qualcosa che è di tutti i palermitani, che è lì a ricordarci chi siamo.

Tra santi e madonne, peccato e resurrezione, c’è un uomo nudo che nutre un serpente, che accoglie il nuovo, che benedice il cambiamento: rivolgetevi a lui, è li per rappresentarci, dimenticato in una nicchia, o dentro un palazzo o in una piazza. Sta lì per noi, non chiede offerte, non chiede di inginocchiarsi davanti ad esso, non promette miracoli, ma è comunque fonte di ispirazione e devozione.

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