La prima volta fa sempre male: come non si scrive una tesi di laurea

Durante gli anni dell’università, quelli passati a studiare, seguire lezioni, presentarsi agli esami, passarli, venire mandati, prendere voti bassi, oppure altissimi, non si ha che una meta: il giorno della laurea. O meglio, la fine degli esami. La verità è che ogni studente sa che, il giorno in cui avrà passato l’ultimo esame, inizierà per lui/lei un periodo di limbo esistenziale e piacevole chiamato “stesura della tesi”. Lo pensavo anche io, e fantasticavo su giornate passate a leggere libri gradevoli, difficili, scorrevoli, scelti da me, o consigliati dalla relatrice, libri che avrebbero ispirato momenti di scrittura appassionata (e possibilmente appassionante per gli eventuali lettori), spunti di ricerca, scoperte, stupori. Pensavo che sarebbe stato facile, per me, scrivere. Io amo scrivere. Io trovo più facile scrivere che non respirare o fare una rampa di scale. Mi sbagliavo.

La prima volta che ho chiesto la tesi è stato circa due anni fa. Entro nel dipartimento della professoressa che insegna la mia materia preferita, dopo aver atteso circa due ore, e dico educatamente e con un sorriso pieno di entusiasmo: “buongiorno”. Non è un buon giorno, non quello in cui la mia designata (prima) relatrice mi guarda con sospetto, quasi disprezzo, e dice “lei chi è?”, facendomi sentire fuori luogo come una massaia che chieda una zucchina a un macellaio.
Dopo aver valutato attentamente il mio libretto, con una smorfia di sufficienza dice che in tutti i casi devo superare una prova di scrittura, e mi da il titolo di un libro da acquistare e rispetto al quale scrivere qualcosa. Vorrei precisare che a quel tempo avevo la media del ventotto e più, e un trenta e lode nella sua materia. Compro il maledetto libro, lo leggo, cercando di non perdere l’entusiasmo (non il mio genere, non interessante, non bello, niente), e superando l’iniziale pessimismo e vuoto mentale, scrivo una recensione da far girar la testa a Luperini in persona.

A quel punto attendo il giorno di ricevimento, mi presento, e scopro che il giorno di ricevimento non è necessariamente collegato alla presenza reale della professoressa. La cerco in altri giorni, passano un paio di settimane, e riesco a trovarla di nuovo. Attendo un tempo indefinito, quello giusto a riesumare tutti i ricordi che il mio cervello contiene, compresi quelli prenatali, e finalmente entro in dipartimento, o meglio, vengo fermata sulla soglia: la proff.ssa è troppo impegnata, prende i fogli al volo, mi dice di tornare, e grazie e arrivederci. Di nuovo lotto contro le sue ripetute assenze, mi presento in dipartimento ad orari dei quali ignoravo l’esistenza, e dopo svariate settimane, finalmente la trovo. Attento lettore: stiamo ancora testando preventivamente la mia idoneità a fare la tesi con lei, ed è passato almeno un mese e mezzo. Comunque non mi perdo d’animo, chiamo ogni giorno in facoltà, finché non mi dicono che quel giorno sarà presente, prendo autobus, metropolitane, treni, bici, pattini, piccioni viaggiatori, e arrivo. Entro in quello che mi sembrava il dipartimento dei miei sogni con sempre meno entusiasmo, e lei non si ricorda mai chi sono. Poco male, avrà molti tesisti. Le ricordo della prova di scrittura, lei dice che non ha avuto tempo di leggerla, e inizia a parlare di argomenti scollegati che potrebbero essere il tema della mia futura tesi (tesi che non si sa ancora se farò con lei, perché potrei essere una ciofeca a scrivere). Rimango perplessa, propongo qualcosa io, lei non sa di cosa parlo. Allora mi propone di tornare con qualcosa di più concreto. Mi chiedo se intenda soldi, cibo, o feci. E comunque preparo (io!?!) una bibliografia di base per capire se posso iniziare a leggere. Torno, non la trovo, le lascio nuovamente un pacco di fogli e proposte sulla scrivania. Vi risparmio quello che c’è in mezzo, perché abbastanza monotono e ripetitivo. L’ultima volta che entro in quella stanza è passato un anno dalla prima visita e la mia amata prima relatrice, nell’ordine, non si ricorda che sono una sua tesista, non si ricorda il mio nome o cognome, non si ricorda l’argomento della tesi, ha perso tutto quello che le avevo portato, e comunque vuole cambiare argomento. Esco dal dipartimento con la sensazione di aver sbagliato tutto, e il desiderio viscerale di lanciarmi sotto un camion, o di farmi picchiare dai neofascisti, o ancora di mangiare il veleno per topi. Non una buona giornata, per intenderci.

Abbandono la tesi, e mi concentro sulle ultime materie, e più passa il tempo, più è chiaro che non tornerò dalla prima relatrice, e che mollerò un anno di fatiche. Poi incontro la seconda relatrice. Prima ancora di fare l’esame le chiedo la tesi, e lei dice di sì, perché, a suo dire (eh, sì, la gente è matta), tutti gli studenti hanno il diritto di fare la tesi, e i professori hanno il compito di seguirli. Rimango di sasso, mi emoziono come quando guardo Lilli e il Vagabondo, e mi trattengo dall’abbracciarla. Vado al secondo dipartimento al ricevimento della seconda relatrice. La trovo, perché è suo dovere essere presente quel giorno in dipartimento, attendo il mio turno perché ci sono altri studenti, e mi sta bene. Entro e parliamo dell’argomento della tesi, lei vuole che lo scelga io. Propongo qualcosa, la seconda relatrice approva, prende il mio quaderno e scrive una bibliografia di partenza, spiegandomi dove posso trovare i libri, prestandomi i suoi qualora non fossero disponibili in biblioteca. In un anno leggo, studio, mi documento, approfondisco, mi incuriosisco, mi confronto con lei, mi appassiono, incontro difficoltà, le supero, mi faccio aiutare, imparo a cavarmela, sbaglio, vengo corretta, scrivo. Scrivo non con quella facilità che mi aspettavo, ma scrivo bene, sicura di me stessa, a mio agio con libri, fogli bianchi, e professoressa. La fatica viene ricompensata, la mia tesi mi piace, le correzioni non sono troppe, ma sono cosciente che la mia relatrice abbia letto e riletto il mio lavoro, e il giorno della laurea ho soltanto paura di emozionarmi troppo.

Dovrebbe essere così per tutti. Ecco perché il saggio di Eco su come scrivere una tesi non basta. Perché a prescindere dal formato delle note a piè di pagina, e dal numero di capitoli, quello che è importante è essere guidati, seguiti, trattati come persone che meritano rispetto e attenzione. I professori hanno scelto da soli il loro lavoro, e seguire i tesisti fa parte dei loro compiti. Non soltanto gli studenti migliori, ma tutti, perché anche quelli con la media del 18 devono scrivere la tesi. È facile predicare il comunismo dei beni e dei saperi, quando puoi permetterti di snobbare gli studenti, anche quelli migliori, e scegliere di non accogliere quelli più problematici. Facile insegnare a chi si piega, mulo, sui libri, e non fa mai domande, e non ha lacune da colmare. Facile giocare alla critica militante, e poi essere vittime e artefici di lecchinismi e ipocrisie della peggior specie.

Scrivere una tesi di laurea non è universalmente difficile. Difficile è scegliere chi ti seguirà, indicandoti la strada, prendendoti per mano, seguendoti da lontano, o lasciandoti in mezzo al labirinto senza mappa né bussole. E allora futuri tesisti, seguite il mio consiglio: scegliete professori illuminati e rispettosi, che pretendano il vostro impegno, ma in risposta al loro, che vivano con voi l’emozione della consegna della tesi, e del giorno della discussione. Pretendete una guida, non un nome sulla copertina di un lavoro mediocre.

E il giorno della vostra laurea sarà luminoso, pieno di sorrisi, e di orgoglio, a prescindere dal voto finale, o dal vestito che indosserete.

Una buona giornata, per intenderci.

6 thoughts on “La prima volta fa sempre male: come non si scrive una tesi di laurea

  1. parole sante.
    la mia relatrice era un mix tra i due personaggi in questione ma mi sono sentita seguita, guidata e contemporaneamente lasciata libera di far spaziare le mie idee, i miei interessi per poi trovare in mano qualcosa di MIO di cui sono estremamente orgogliosa!

    così dovrebbe essere per tutti.

  2. Io non so chi devo ringraziare, forse la mia stessa relatrice, ma non ho avuto affatto problemi. Era presente in dipartimento ogni giorno dispari, lunedì-mercoledì-venerdì e disposta a vederci anche in giorni pari. Lasciava che io scrivessi quello che mi passava per la testa, correggendomi quand’era necessario e spronandomi quando leggeva imbarazzo e timore.
    Leggeva ogni nota, correggeva ogni nota. Cercava insieme a me la bibliografia, testi in altre lingue che lei ricordava e che io non potevo conoscere.
    Stupita, ma contenta, quando le chiesi la tesi. Non se l’aspettava. Lei era docente di un altro corso di laurea, e la sua materia, per me, era a scelta. Fiduciosa quando le esposi il mio argomento.

    Così dovrebbe andare la prima tesi.
    Così una relatrice dovrebbe guidarti.
    E ogni qualvolta che incontro un/a collega che mi dice di aver chiesto la tesi, spero che lui/lei possa avere un relatore pari al mio.

  3. Certa gente un Brunetta sul comodino se la merita davvero (a propo’ dov’è finito Brunetta?!).
    Il mio relatore, mente geniale, mi ha lasciato libero come fa con tutti, ha corretto tutto con attenzione e mi ha portato rispetto (dandomi appuntamento anche fuori l’università se era necessario) nonostante l’argomento scelto da me non lo entusiasmasse. Avrei preferito che mi spronasse ma forse non sono riuscito io ad appassionarlo.

  4. E’ proprio vero. Giovedì la mia laurea (triennale, ma pur sempre una laurea!) e ho visto la mia prof. 3 volte in tutto: una per la richiesta di tesi, la seconda per farle firmare il frontespizio da consegnare in segreteria e la terza alla consegna della sua copia della tesi (pochi giorni fa).
    Non so che ne pensa della tesi, le sue risposte sono sempre state monosillabiche ( secondo me neanche l’ha letta) e io, arrivata a questo punto, ho il timore di essere a pochi giorni dalla tesi e di non aver fatto un bel lavoro. Ragion per cui mi vergognerò tantissimo alla discussione, già lo so.
    …… Ma se non vuoi fare il tuo mestiere, perchè lo fai?……

    Hai ragione, i prof…. che brutta razza!

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