Testo di Alexia Mangano
Avete mai immaginato cosa possa aver provato il caro Neil Armstrong nel poggiare il suo piedino, quel fatidico 20 luglio 1969, sulla “graziosa”, “pigra”, “silenziosa” luna che tante fantasie di poeti ha alimentato di pallore ed evanescente irraggiungibilità?
Chissà se quell’uomo fortunato o sfortunato (dipende dai punti di vista) ha tremato un po’ al pensiero di profanare, in nome della più umana follia di progresso, quel suolo tanto vagheggiato.
Giusto un paio di giorni fa mi è capitato di ascoltare una canzone (Apollo 11 contenuta nell’album Casa 69) appena sfornata dal noto cantante italico, tale Giuliano Sangiorgi che, per chi non lo conoscesse, è leader della band Negramaro, che nella sua semplice linea melodica e nell’altrettanto semplice testualità, dà ottimi spunti di riflessione su una verità che forse ormai ci lascia indifferenti, avvolti come siamo da mera materialità e abitanti di un presente dove il massimo del sogno è sbancare il superenalotto e dove, per la gente più comune, d’irraggiungibile c’è solo il fine mese[1].
La verità a cui mi riferisco è la caduta rovinosa dell’ illusione che una Luna quasi magica, quasi divina nella sua alta lontananza da noi, briciole di un ignoto infinito, ci guardi compiaciuta e compiacente e non macchiata dal fango dei nostri scarponi d’umani, e che dalla sua altezza sia testimone dei più profondi misteri della vita e della morte e di tutto quello che noi stessi, smaniosi di sapere, di capire, ci stiamo togliendo il gusto di assaporare; ma questa verità trascina con sè anche la triste consapevolezza del precipitare delle fantasie e del nostro sguardo ormai smagato, che si posa su sogni che toccano il suolo.
Tralasciamo ogni implicazione politica e tutte le porcherie che ne seguono e diciamo pure che siamo stati bravi e il nostro Neil è diventato un eroe pacifico come gli altri dopo di lui.
Certo, meno male che attualmente ci risulti poco poco impossibile invaderla e appropriarcene, vista l’impossibilità fisica di alitarci sopra la nostra distruzione, altrimenti altro che “Siamo venuti in pace, per tutta l’umanità.” [2] avremmo sterminato di tutto e di più,come al solito.
Dopo tutto, per noi comuni mortali, averla toccata, questa Luna, alla fine a cosa è servito?
Rimane la fine di qualche chimera e l’amara consapevolezza della nostra superficiale vuota umanità.
Peccato, sarebbe stato interessante continuare a credere che la Luna piena facesse ululare qualcuno di noi, trasformatosi col suo favore in lupacchiotto a due zampe, o che gruppetti di donne munite di unghie lunghe, senza bisogno di ricostruzione con gel o cose simili, e munite di scopette, si riunissero, sotto la sua torpida luce, per compiere simpatiche riunioni conviviali a base si zampe di gallina e peli di topo… Peccato!
[1] il modo di dire “sbarcare il lunario” è un’ espressione folcloristica che significa riuscire attraverso diversi lavori o con espedienti a guadagnare abbastanza per arrivare alla fine del mese, o lunario (dal calendario mensile che riporta le diverse fasi lunari). Anche se questa frase non ha la stessa origine etimologica della frase “sbarco sulla luna” la evoca ed indica comunque un’ impresa ardua.
[2]L’equipaggio dell’Apollo 11 lasciò sulla luna una targa con incise queste parole: “Qui, uomini dal pianeta Terra posero piede sulla Luna per la prima volta, luglio 1969 d.C. Siamo venuti in pace, a nome di tutta l’umanità.“, a testimonianza del loro arrivo sul nostro satellite.
Bell’acquerello e bel testo, sognante ma smagato (:
Propendo per vari replay su tematiche diverse di entrambe le novità qui proposte (acquerello e autrice!).
E per quanto riguarda il messaggio, beh, patetica e al contempo inquietante la questione del “consumismo della luna”, ma si sa che l’homo è capace di tutto; al momento il consumismo lunare è solo mentale e/o potenziale, vedremo cosa accadrà quando (e se) ci sarà sul serio di mezzo la mera materia.