Altro che dimissioni!

La storia del Conte di Morcef è una storia torbida, oscura e piena d’invidia e di viltà, che narra di uno scalatore sociale come tanti accompagnato da una buona stella, ma, come si sa, ogni stella prima o poi si spegne e arriva il momento in cui siamo tutti posti a giudizio e dobbiamo rendere conto delle nostre azioni.

Il buon vecchio Caderousse, un ex sarto albergatore e poi galeotto, racconta all’Abate Busoni le varie tappe di questa scalata sociale. Fernando Mondego (tale è il vero nome del Conte di Morcef) era un povero pescatore di un villaggio di Marsiglia, innamorato di una bella giovane che, ahimè, stava per sposare un altro uomo.

Nella sua vita ci deve essere qualche strano segreto che nessuno sa. 1

Da povero pescatore rifiutato, il Conte di Morcef, è oggi uno stimato politico Pari di Francia. La sua fortuna cominciò a girare quando il suo rivale in amore venne imprigionato con l’accusa di cospirazione bonapartista e alla povera fanciulla non rimase altro che il conforto di Fernando. Abbandonate reti e remi, intraprese la carriera militare sotto Napoleone (i famosi “cento giorni”), durante la quale seguì il suo Generale unendosi agli inglesi. I fatti vollero che tornasse in patria da sottotenente e che, grazie a raccomandazioni di sorta, diventasse Capitano. Avanzò e fece fortuna durante la prima guerra di Spagna, dove rese servigi tali da esser nominato Colonnello, ricevere la Croce di Ufficiale della Legion d’Onore e il titolo di Barone. Seguì un periodo di pace in Europa, così il Barone di Morcef (come si faceva ormai chiamare) partì alla volta delle isole Greche, in guerra contro i turchi. Lì, con il grado di Generale Istruttore, si mise al servizio del Pascià di Giannina, Alì Tebelen. Le notizie di cronaca riportarono in seguito l’uccisione del Pascià e l’assedio del palazzo da parte dei turchi. Tebelen però, prima di morire, lasciò a Fernando una somma considerevole per il servizio resogli. Il Barone riuscì a tornare in Francia, dove gli venne conferito il grado di Luogotenente. A questo punto il racconto di Caderousse si fa più confuso e affrettato, perché non si seppe più niente di Fernando a Marsiglia, in quanto si trasferì a Parigi con la moglie, la Baronessa di Morcef, e intraprese la carriera politica diventando Senatore.

A Parigi, infatti, incontriamo un Conte di Morcef fiero, stimato da tutti e con una vita privata ammirevole. Un Pari di Francia con non pochi nemici ma con molto rispetto. Scuserete la frase fatta ma ovviamente non è tutto oro quello che luccica e si capisce che dietro il luccichio di tutte quelle belle medaglie, si cela un mistero. A partire dal titolo di Conte che, secondo il parere del Barone Danglars, un suo conoscente di vecchia data, non è autentico.

Egli si è fatto conte da sé, per cui non lo è. 2

Danglars, essendo come Morcef un ricco di fresca data, aveva concordato con questi il matrimonio dei propri figli ma, all’avvicinarsi di tale data, mostra delle remore. Evidentemente voleva vederci più chiaro prima di unire in sposa sua figlia con un Morcef, soprattutto per quanto riguardava il periodo greco di Fernando Mondego. Decide quindi di scrivere al suo corrispondente di Giannina, affinché gli dessero notizie riguardo la parte di un francese chiamato Fernando nella catastrofe di Alì Tebelen.

Qualche tempo dopo un giornale riportò, in un trafiletto, la seguente notizia:

Ci scrivono da Giannina. È giunto a nostra conoscenza un fatto fin qui ignorato, o per lo meno inedito. Le fortezze che difendevano la città furono vendute ai turchi da un ufficiale francese nel quale il visir Alì Tebelen aveva riposta tutta la sua fiducia, e che si chiamava Fernando.

La notizia però passò totalmente inosservata, eccetto che dal Visconte di Morcef che, su tutte le furie, andò a sfidare in duello il direttore di quel giornale. Il duello saltò per mancanza di prove concrete ma il cuore di un figlio era rimasto lacerato da quel dubbio atroce. Si dice che chi va in cerca del passato poi ne viene sopraffatto. E così fu per il Visconte di Morcef.

Dopo neanche un mese dalla notizia sopra riportata, un altro giornale parlò del fatto, questa volta andando più a fondo e facendo luce sulla situazione.

Quell’ufficiale francese al servizio di Alì Pascià di Giannina […] che non soltanto vendette la fortezza di Giannina ma anche il suo benefattore ai turchi, si chiamava in quell’epoca Fernando [..]. In quella occasione ha aggiunto un titolo di nobiltà ed un nome di terra. Oggi si chiama signor Conte di Morcef e fa parte della Camera dei Pari.

In tal modo quel terribile segreto riaffiorò portando lo scompiglio in tutta Parigi. Quando si andò a chiedere di render conto della notizia al direttore di quest’altro giornale egli rispose:

è un servizio che si rende al paese denunciare i nomi di coloro che sono immeritevoli degli onori che godono.

Inutile dirlo, il giorno dopo, il Senato si preparava ad un importante processo. Il conte di Morcef, come ogni mattina, si presentò alla Camera ma era all’oscuro dei fatti e la sua calma appariva quasi un insulto ai suoi colleghi. Venne il momento in cui tutti stettero in silenzio ascoltando gli oratori; uno di essi, quello che era considerato un accanito nemico del Conte, introdusse l’argomento leggendo a voce alta l’articolo che accusava il Conte di Morcef di un così vile tradimento. Era un argomento delicato in quanto si trattava dell’onore di un uomo e di tutta la Camera, che pretendeva difendersi esigendo una discussione.

Il conte di Morcef, dapprima stordito, si fece coraggio e si mise a disposizione della Camera per un chiarimento. Si decise allora di istituire un processo e il Conte venne ufficialmente accusato di tradimento davanti al Senato per aver ingannato Alì Tebelen e averlo ceduto ai turchi. Fu dato del tempo a Morcef per organizzare la sua difesa ed egli andò subito a raccogliere i documenti già da lui preparati da tempo per far fronte a questo uragano previsto.

Giunse la sera, e tutta Parigi era in attesa di questo avvenimento. C’era chi pensava che sarebbe bastato al Conte presentarsi per far crollare l’accusa, altri dicevano che il Conte non si sarebbe presentato affatto, ma giunse l’ora indicata dal consiglio e il Conte di Morcef si recò alla Camera per esser processato. Gli venne data la parola dal Presidente che nel mentre dissigillava una lettera consegnatagli da un anonimo. Il Conte cominciò la sua apologia con gran maestria e naturalezza, presentò le carte comprovanti che il Visir di Giannina lo aveva onorato della sua fiducia avendolo incaricato di una negoziazione di vita e di morte con lo stesso sultano. Disgraziatamente le trattative erano andate a vuoto e quando fu di ritorno per difendere il suo benefattore era ormai troppo tardi. Morendo però, tanto la fiducia del Visir era stata grande, gli aveva affidato la moglie e la figlia.

Nel frattempo il Presidente della commissione finì di leggere la lettera e domandò al Conte di andare più a fondo nella faccenda dell’affidamento di moglie e figlia. Morcef raccontò allora che al suo ritorno a Giannina entrambe erano scomparse e non si seppe più nulla riguardo la loro sorte. Alla domanda “avete dei testimoni che possono confermare la vostra versione dei fatti?” il Conte rispose negativamente.

Proprio quando pensi di aver ormai superato un enorme ostacolo, arriva sempre qualcosa che ti sbatte contro e ti lascia col sedere per terra, e se non sei pronto ad affrontarlo rimani lì, inerme. Nel caso del Conte di Morcef, a sbattergli contro fu il mittente di quella lettera anonima. In essa, infatti, vi era scritto che un importantissimo testimone si metteva a disposizione della Camera per fornire tutte le informazioni riguardanti la condotta del Conte di Morcef in Epiro e in Macedonia. La commissione dunque decise si ascoltare questo preziosissimo testimone: una donna accompagnata da un servo.

Io mi chiamo Haydée, figlia di Alì Tebelen, pascià di Giannina, e di sua moglie Vasiliki.

Se un fulmine fosse caduto in quel momento ai piedi del Conte di Morcef, forse lo avrebbe impressionato di meno. Egli rimase stordito, annichilito e non riuscì a reggersi in piedi.

La giovane presentò al Presidente i documenti riguardanti la sua nascita e soprattutto l’atto di vendita, di sua madre e suo, da parte del Generale Mondego ad un mercante di schiavi, per la somma di quattrocentomila franchi.

Durante tal supplizio, il Conte non aveva pronunciato una parola. C’era chi lo compiangeva, chi lo derideva e chi ringraziava il cielo che questa vile infamia fosse stata smascherata.

“Voi riconoscete dunque nel Conte di Morcef, quell’ufficiale Fernando Mondego?” – Chiese il Presidente alla giovane.
“Sì, lo riconosco!” – rispose questa.
Il Presidente si volse a Morcef, ormai quasi inerme e incapace di proferir parola: “Signor Conte di Morcef, non vi abbattete! Parlate! La giustizia della Corte è suprema ed eguale per tutti!”

Morcef non rispose, farfugliò qualcosa, rivolse all’assemblea uno sguardo disperato e uscì dalla sala come un insensato; i suoi passi si ripercuotevano sotto la volta sonora, e il rumore di una carrozza infine ne annunciò la totale sconfitta.

Alexandre Dumas scrisse ne “Il Conte di Montecristo” la storia di un uomo che, accecato dal potere, dall’invidia e dalla gloria, non si detiene dal compiere atti vili e immorali. Alla fine, quando il Conte di Montecristo si vendicherà sul Conte di Morcef, facendolo giudicare per il suo tradimento, questi non esiterà a togliersi la vita.

1 cit. Caderousse

2 cit. Danglars

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