A testa in su

C’è una scena, in uno dei lungometraggi della Disney, che mi ha sempre messo tristezza. Una folla di persone impazzite per le strade, scherzi, travestimenti, maschere, e la gara per la maschera più brutta. Ad un certo punto, un uomo deforme viene afferrato da una bella gitana e condotto sul palco. Ma quando è il momento di tirar via la sua maschera, tutti si accorgono che quella è la sua vera faccia. A quel punto, io mi sento sempre un po’ male, come se qualcosa morisse dentro di me, la parte bambina che credeva al valore del “carnevale”, il giorno in cui non c’è bellezza o bruttezza, e tutto è al contrario. Dopo aver consacrato la morte di quella ingenua ammiratrice della dimensione carnevalesca, ecco che viene fuori una riflessione un po’ più critica.

Il carnevale, ce lo dice Bachtin, sta all’epoca medievale come una valvola di sfiatamento sta ad un materassino gonfiabile. È un giorno di festa, divertimento e travestimenti, nel quale, momentaneamente, le gerarchie soffocanti della vita degli altri giorni vengono annullate, e il povero e il ricco, il potente e il debole, hanno lo stesso diritto di festeggiare, mettere da parte la propria razionalità, e darsi completamente allo spirito dionisiaco, dopo aver sedato l’apollineo. È un vero e proprio mondo al contrario, ciò che è basso diviene alto, e viceversa. Si usa di frequente la dicitura “a testa in giù”, che mi fa pensare ad un gesto che sovverte temporaneamente la propria postura, che crea scompiglio, e regala a colui che si inverte una visione al contrario del mondo di ogni giorno.

Attenzione, però: il carnevale è una sovversione temporanea, limitata nel tempo, controllata e socialmente accettata di sovversione. Non è una vera invasione di campo, non è davvero il giorno dei folli. Il carnevale è un momento in cui persone normalissime e inquadrate in schemi sociali rigidi nel resto dell’anno, a comando, si danno un nuovo ordine, quello al contrario, per l’appunto, che ribalta, ma non annulla, apparentemente e solo in quei giorni, l’ordine quotidiano.

Perché vi parlo di questo? Perché non voglio che qualcuno pensi che il Pride del 21 maggio 2011 sia un carnevale. Sarà divertente, senza dubbio. Sarà colorato, si spera. Sarà un’invasione temporanea di zone della città che per un certo periodo di tempo perderanno la loro conformazione per diventare altro. Ma non è la festa dei folli. Non è la valvola di sfogo di un gruppo di persone che il giorno dopo torneranno a piegare la schiena al vostro amato ordine. È una rivoluzione dolce, è un sovvertimento di percezioni spaziali, che, se tutto va bene, non torneranno allo status quo il giorno dopo. Questa città non è neutra, probabilmente è stata a lungo eteronormata, dove per eteronormatività si intende un regime di eterosessualità obbligatoria. Ma questa città è anche nostra, è anche mia. Io non sono neutra e non sono eteronormata, ma questa città è mia, e il Pride non sarà un carnevale, sarà un’alba, una porta che si apre, un red carpet di realtà che diventano visibili anche ai ciechi, e che non spariranno il giorno dopo. Queste realtà sono corpi, emozioni, affettività, desideri, speranze, sessualità, pratiche, parole, discorsi, amore e odio e quello che ci sta in mezzo, età diverse, capigliature, mani, caviglie, peni e vagine, e seni, e spalle e schiene, e occhi e bocche belle e brutte, e colori o bianco e nero. Queste realtà sovversive vi fanno paura, e il Pride le raduna e ve le sbatte in faccia, ma badate, esistono già, negli altri giorni, nelle vostre realtà che credete ordinate. Il disordine è già qui, tra di voi, tra di noi, siamo noi e non torneremo alla norma il 22 maggio, rimarremo queer per il resto dell’anno, alla faccia vostra e di Bachtin, orgogliosi e sfacciati, a testa in su, sempre.

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