Non ci sono più gli universitari di una volta

Capisci che l’età avanza, quando cominci a fare paragoni tra la generazione che ti ha preceduto e quella che ti succede succede (tra la tua e la tua successiva invece lo fai banalmente già a 14 anni e senza obiettività) e ti accorgi di come quelli della tua generazione siano divisi tra quelli che hanno ereditato e quelli che sono stati pionieri.
Ricordo che, quando sono entrato all’Università, era tutto diverso da ora, era tutto più bello, vuoi perché non conoscevo bene le cose brutte che erano nascoste dietro alcune cose apparentemente belle, vuoi perché ancora non erano passate alcune riforme culturicide, vuoi soprattutto perché l’università non era ancora propriamente di massa, c’erano ancora molti del Vecchio Ordinamento che, quando scelsero di iscriversi all’università, sapevano bene che avrebbero dovuto fare i loro santi 4-5 anni e non erano illusi da un 3+2 (che nel 90% dei casi diventa almeno un 4+3).
Le cose più belle che ricordo non si sono sporcate nel tempo da tristi verità e non dipendevano neanche molto dal sistema universitario in sé, molto probabilmente dipendeva dalla cultura (in senso lato) degli studenti e dal loro spirito di vivere le facoltà.
Ricordo che in biblioteca c’era sempre silenzio e non c’era bisogno di cartelli che ricordassero di non parlare al cellulare in bagno, perché nessuno mai si sarebbe sognato di farlo, tanto meno nessuno correva fuori per rispondere. Non che vigesse l’atmosfera del sacro tempio dello studio, ma sicuramente la gente andava lì per studiare e non  cercare un posto dove sedersi con l’aria condizionata.
Ricordo anche aule autogestite che erano luoghi di autoformazione tra seminari, tenuti da dottorandi o tesisti, con cineforum e dibattito finale. Ricordo che alcune di queste aule rimanevano aperte finché qualcuno dei ragazzi che si era assunto la responsabilità dello spazio non se ne fosse andato e così si poteva studiare anche tutta la notte.
Ricordo di aver sentito parlare di goliardia ma già allora si stavano estinguendo mentre cominciavano a spopolare feste erasmus frequentate da giovani allupate/i di stranieri che invece non frequentavano quel bordello.
Io sicuramente pretendevo troppo ad avere l’immaginario del circolo di letture di testi e club di scacchi di giorno con secchi di birra la notte, però lo scenario che mi si presentava nel non tanto lontano 2004 era equilibrato.

Oggi le facoltà chiudono presto perché d’estate c’è meno gente e così si risparmia sulla bolletta, le biblioteche di conseguenza e non ci sono più aule autogestite dove studiare, dibattere, incontrarsi e scornarsi.
Oggi si viene con il pc in biblioteca, lo si connette al wi-fi d’ateneo (che funziona mai a chi lo dovrebbe usare per studiare) e si fanno vedere agli amici le foto su facebook o video su youtube, si ride e si scherza a bassa voce e chissenefrega se c’è uno stronzo che invece ha una pila di libri davanti e un esame tra pochi giorni che ti chiede di fare silenzio.
Oggi si va ai seminari se e soltanto se rilasciano CFU senza fare esamino finale, e ci si va in questo caso anche se non ce ne frega nulla perché dobbiamo sbrigarci a laurearci non possiamo mica aspettare un seminario interessante che quei barbosi dei professori non organizzeranno mai. Però poi si perde un pomeriggio davanti i libri aperti in biblioteca a parlare delle scarpe che ti vuoi comprare per andare al matrimonio della sorella della cugina della parrucchiera.
Ricordo l’impegno politico condiviso da tutti anche se con idee diverse, oggi l’idea è che ti devi laureare, come se i motivi delle proteste non ti interessassero.

In fondo ad un corridoio ho imparato da un ricercatore di greco classico il principio della nonviolenza per cui non bisogna accusare mai una persona dei suoi atti se non abbiamo prima compreso cosa l’ha portato a compierli, capire di chi sia veramente la colpa. Allora penso che gli studenti universitari di oggi, più svogliati di quelli di ieri, non hanno colpa, sono cresciuti con mamma TV anziché in compagnia di fumetti e libri di favole, hanno perso molto interesse per le idee, ostentando la loro cultura materialista (non in senso marxiano evidentemente) e sono pieni di individualismo fatto di gruppi ristretti in cui si perde l’immagine dello status di studente universitario classicamente inteso. Come sono arrivati a ciò? Guardando alle loro spalle troviamo però la nostra generazione e sappiamo bene che crisi culturale e politica abbiamo e stiamo vivendo e non possiamo aspettarci di meglio.

Questo articolo però non può chiudersi semplicemente con l’arresa al tempo che passa e alle culture che cambiano ma spera di essere una riflessione affinché si trovi il coraggio e la forza, insieme ad altre riflessioni di questo tipo, di unirci per migliorare le cose almeno noi che sapevamo come era meglio.

9 thoughts on “Non ci sono più gli universitari di una volta

  1. La nostra generazione (io nn sono 2004 ma 2005) dovrebbe dare l’esempio! Ci lamentiamo che i nostri padri si lamentano di noi e diciamo “voi cosa ci avete dato?”. Ecco, quello da fare é “lasciare qualcosa” che, anche se non sará MAI uguale a quello che avevamo noi, non é detto che sia peggiore. Sta tutto a noi…

  2. Boh, io a ingegneria ho trovato lo schifo sin dal primo anno… una specie di prolungamento dell’ambiente dell’industriale
    siete voi letterati che siete degli adorabili idealisti, nelle nostre aule autogestite si leggevano fumetti e si giocava a magic, e la biblioteca era un bibliopub anche nel 2004

  3. Io invece (matricola 039… del 2000) ho iniziato con il primo anno vecchio ordinamento… poi un macello per entrare nel nuovo ordinamento (e c’ho rimesso quasi 3/4 di anno). Per il resto mi sono trovato molto bene ad ingegneria gestionale di Palermo, che reputo un ottimo corso di studi, gestito da professori in gamba, lo dicevo anche quando ero studente (e potevo sembrare “lecchino”), le cose funzionavano molto bene, ho dovuto acquistare pochissimi libri, molto spesso erano i professori stessi che fornivano tutto il materiale didattico necessario (in altre facoltà so invece che i professori firmano la copertina del proprio libro per farli comprare ed evitare che li rivendano come 2° mano). Solo con 1-2 professori mi sono trovato male, erano poco seri e svogliati; molti invece mostravano passione per il loro lavoro. Alcuni hanno tirato fuori il meglio di me, credendo in me anche quando ero io a non crederci troppo…
    Una bella esperienza!

  4. Io non penso che in questo post si stia parlando di quanto bene ci siamo trovati con i docenti o con i colleghi. Se ho ben interpretato le parole di Michele qui si sta parlando della “qualità” dell’essere studente in una università di sostanza, che non si perde in gadget firmati “unipa”, che non ha l’aria condizionata o il sistema di caricamento degli statini digitale (non funzionante, ma vabè..).
    Anch’io sono del 2005 e sebbene non sia stata esattamente una studentessa socievole – ho frequentato veramente poco l’aspetto aggregativo dell’università – anch’io mi rendo conto di ciò che scrive Michele: quando sono entrata all’università c’era un altro spirito, sarà anche l’entusiasmo che avevo, la voglia di fare mille cose senza sapere ancora che per farle avrei dovuto fare interminabili code allo sportello della segreteria, ma l’università aveva per me una “solennità” che adesso non ha più. E’ veramente doloroso da dire, ma io non ho più rispetto per l’Università. Arrivare la mattina e trovare tanti ragazzetti in pinocchietti e infradito che fumano e sghignazzano, leggono due righe e mandano sei sms, scroccano la connessione wi-fi solo per aggiornare il loro profilo sul social network di turno non mi fa sperare in alcun miglioramento. Quando sono entrata non vedevo l’ora di imparare, di conoscere, di vedere altro, aldilà e ben sopra il mio mondo, adesso non penso ad altro che sbrigarmi a leggere questi quattro libri delle mie ultime materie – ebbene sì, sono ancora qui dentro-, firmare una tesi scadente scritta in un paio di mesi ed andare via.

  5. bastano 5 anni per essere così diversi?
    Boh… sembrano i discorsi che fa un nonnetto guardando le nuove generazioni hihihih!
    Io dal 2000 al 2009 non ho visto grandi cambiamenti, certo c’erano dei “pischelli” che sembravano appena usciti dalle medie, ma sarà stato anche io così…

  6. Che barba la cultura che non fa cultura!
    In sostanza c’è chi si salva e chi no. La generazione vecchio ordinamento se ne andata col tempo, e con essa tutta le loro cose organizzate. Non capisco una cosa: se per ora non c’è fondamentalmente un collante culturale di notevole rispetto, perché non (ri)crearlo partendo da zero? Aggregando gente senza chiedere soldi, ma portando libri, film, attori, senza alcuna presunzione ideologica. Se si aspetta che gli altri facciano il primo passo vorrà dire che ognuno di quelli interessati(che saranno non pochi, secondo me, e buoni), che vorrebbero parlare di cultura, studiare concretamente, vivere l’università per come sarebbe logico, preferirà starsene a casa e scambiare col proprio pezzo di carta cosa lo avrà attratto dalle Operette Morali di Leopardi (o simili), comprate furtivamente alla feltrinelli, perchè se ne parli con gli amici ti tirerebbero una forst sulla fronte. Le robe fighe funzionano in questo mondo, invece le robe anacronistiche solo se è la moda a dettarne le regole, con intelligenza e forza innovativa/creativa.
    Che barba la cultura!

  7. Inoltre ricordiamo che in un tempo lontano… le manifestazioni si facevano contro i programmi universitari ritenuti obsoleti e i relativi insegnamenti. Oggi nessuno si permetterebbe di mettere in discussione l’intera docenza di X con striscioni e polemiche attive.

  8. Impressione personale: l’universitario tipo non fa più nulla se non ha un ritorno PERSONALE, non collettivo, per carità. In quell’ambiente, anche il collettivo è spesso organizzato per avere un ritorno personale, quindi mi sembra davvero che tutto si riduca sempre alla ricerca di un nutrimento per il proprio Sé.
    E questi Sé come sono oggi? Egoisti, Avidi, appunto.
    Se conviene, stanno nel proprio mondino rinchiuso tra 4 mura mentali e/o casalinghe giacché in loro vige solo il concetto di “tirare l’acqua al proprio mulino”. Quindi, coerentemente ocn ciò, non si manifesta, non si reclama per i programmi obsoleti, non si tengono aperti i box autogestiti e non si progettano programmi culturali. L’interesse degli universitari di oggi è di farsi i cazzi propri e metterla in C*** al prossimo. E’ di uscirsene prima possibile dall’università o cmq di farlo secondo i propri canoni di strafottente livellamento verso il qualunquismo; sarà per questo che ci si segue un laboratorio solo per i crediti, e vaffanculo all’interesse e alla cultura. Tanto io devo fare soldi. (Messaggio non più subliminale di cui è intrisa qualunque classe sociale attuale!)

    Forse alla comprensione dell’inutilità di tutto questo la maggior parte della gente ci arriva dopo, dopo o intorno ai 30 non so, sarà per questo che a Palermo inizia a muoversi un qualcosa di finalmente collettivo, di finalmente colto… che però – a differenza del passato – di certo non proviene da questi asili nido che poi sono le odierne università.

    Ribadisco: impressioni.

  9. Non so nelle altre facoltà, a quanto pare non è cambiato nulla, ma a Lettere sì. Riconosco tutto quello che riporta Michele. Io non conosco le situazioni dei box autogestiti perché non li ho mai frequentati, né tanto meno ho rapporti con le matricole. Una cosa però la posso affermare: il cambiamento di cui sono testimone e di cui parla Michele non è tanto generazionale (io 2005 – matricole 2011) ma già presente nello stesso studente del 2005 che negli anni, a mio parere, invece di crescere, peggiora! Naturalmente non tutti corrispondono a questa descrizione, ma in buona parte sì. Una volta la selezione naturale avveniva da sé, i piani di studio presentavano materie più o meni obbligatorie e i risultati si notavano. Adesso c’è una più ampia libertà di scelta e sono costantemente testimone di colleghi che vanno alla ricerca disperata di materie semplici e di professori fin troppo elastici. Non interessa la materia, il suo settore, i suoi contenuti. E’ facile? E’ piccola? Com’è il prof. tu che lo conosci? Ma è tranquillo? In una settimana posso farcela? Eccole le domande di oggi. Hai sentito fanno un laboratorio sul dialetto, danno 3cfu, ci andiamo? Chiedi che c’entra col proprio corso di laurea. Ti guardano come se fossi un’aliena. Ma insomma non lo sai che per laurearti devi fare questi laboratori? Uno vale l’altro e poi ti chiedono solo una relazione scritta! No grazie, non mi interessa. Magari qui la stupida sono io. Sono io quella che chiede al prof. di avere cambiato il testo in programma, perché quello che c’è l’ho già studiato. Ma io ho scelto il mio indirizzo perché mi piace, perché voglio sapere, voglio scoprire, voglio potermi confrontare. Tutto questo lottando contro il tempo. La qualità non c’è. Si può contare sulle dita delle mani. I prof. sono stufi di lottare per nulla. Ci stanno abbandonando anche loro, uno alla volta.

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