Io mi sento italiano ma per fortuna o purtroppo NON lo sono

Giorgio Gaber cantava “Io non mi sento italiano ma per fortuna o purtroppo lo sono”, elencando pregi e difetti nella nostra nazione e della sua storia per i quali vergognarsi o andare orgogliosi nell’averne la cittadinanza.
In questi giorni, in cui tutti ci vergogniamo di essere italiani e rifiutiamo l’idea di Patria, Napolitano ha fatto un discorso su questo argomento che ha smosso il teatrino xenofobo italiano.
Napolitano, forse per chiedere implicitamente scusa di essere stato promotore dei centri di permanenza temporanei, ha ricordato durante un incontro con le Chiese Evangeliche che chi nasce in Italia non è per legge un italiano. In Italia vige lo ius sanguinis, ovvero solo i figli dei cittadini italiani sono per “natura” italiani, gli altri possono acquisire la cittadinanza in altri modi che non sempre sono limpidissimi. Vediamo, per esempio, tutte quelle donne che per regolarizzare la loro condizione di extracomunitarie (al di là dell’essere clandestine o meno) svendono la loro dignità sposandosi con degli uomini, magari vecchi, che promettono di mantenerle in cambio di sesso e pulizie. Pensiamo anche al caso dell’acquisizione della cittadinanza per adozione, quanti bambini verranno così abbandonati con la speranza che li adotti qualcuno che gli possa dare non solo una sicurezza economica, ma anche una politica e sociale, come nel caso di Mario Balotelli.
I vari casi per l’acquisizione della cittadinanza italiana, descritti nella legge ’91 del ’92 li trovate riassunti qui:

  • automaticamente, secondo lo ius sanguinis (per nascita, riconoscimento o adozione, da anche un solo genitore cittadino italiano) oppure secondo lo ius soli (solo nati in Italia da genitori apolidi);
  • su domanda, secondo lo ius sanguinis (vedi sotto) o per aver prestato servizio militare di leva o servizio civile;
  • su domanda, per esser nati in Italia (da genitori non cittadini italiani) e avervi risieduto ininterrottamente fino al compimento della maggiore età (ius soli);
  • per naturalizzazione, dopo dieci anni di residenza legale in Italia, a condizione di assenza di precedenti penali e di adeguate risorse economiche; il termine è più breve per ex-cittadini italiani e loro immediati discendenti (ius sanguinis), stranieri nati in Italia (ius soli), cittadini di altri paesi dell’Unione europea, rifugiati e apolidi;
  • per matrimonio con un cittadino italiano, dopo due anni di residenza legale in Italia o dopo tre anni di matrimonio se residenti all’estero (termini ridotti della metà in presenza di figli nati o adottati dai coniugi), a condizione di assenza di precedenti penali. Le cittadine straniere che hanno contratto matrimonio con un cittadino italiano prima del 27 aprile 1983 acquisivano automaticamente la cittadinanza italiana;
  • su domanda, per essere nati in territori già italiani;
  • su domanda, per essere nati in territori già appartenenti al disciolto Impero austro-ungarico.

Il diritto alla cittadinanza per ius sanguinis non si prescrive, ma per poterlo esercitare occorrono che si verifichi una delle seguenti condizioni:

  • ogni genitore deve essere stato cittadino italiano alla nascita del figlio;
  • l’antenato italiano nato prima del 17 marzo 1861 (proclamazione del Regno d’Italia) deve essere morto dopo tale data ed essere morto in possesso della cittadinanza italiana;
  • l’antenato donna trasmette il diritto alla cittadinanza ai discendenti nati prima del 1º gennaio 1948 (entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana) solo in ipotesi residua secondo l’articolo 1 comma 2, Legge 13 giugno 1912, n. 555, se il padre era ignoto, se il padre era apolide, se i figli non seguivano la cittadinanza del padre straniero secondo la legge dello Stato al quale questo apparteneva, ossia se il paese imponeva o concedeva la cittadinanza estera solo per ius soli e non per ius sanguinis.

fonte: wikipedia

Paradossalmente, invece, se nasci in Argentina da figli di italiani, puoi richiedere la cittadinanza ed essere a tutti gli effetti un italo-argentino, ergo un europeo a tutti gli effetti, senza conoscere una sola parola di italiano e senza magari essere mai stato in Italia. Tutti costoro fanno parte della grande famiglia di “Italiani all’estero” che nelle ultime votazioni hanno fatto da ago della bilancia nel decidere le sorti della nazione in cui però viviamo e paghiamo le tasse noi, insieme a migliaia di cittadini non italiani.
Quando si parla di classi in cui i bambini italiani sono la minoranza ,dovremmo ricordare, appunto, che se non fosse per quegli immigrati, quella scuola sarebbe chiusa se non al prezzo di un aumento esorbitante della tassa scolastica.
Lo ius sanguinis è anche chiamato modello tedesco e chissà perché non sorprende associarlo a loro se pensiamo che questo modello a come principio di conservare al meglio e più a lungo la “razza”, mentre nei paesi più libertari come la Francia e gli USA vige lo ius soli, ovvero è il suolo in cui nasci a decidere la tua cittadinanza, proprio come auspica Napolitano.
Mentre la Lega si toglie dal culo la Costituzione che per anni ha usato come carta igienica e cerca invano di sbarrare questa eventualità, mentre gli ex-fascisti, ormai liberali, di Futuro e Libertà ripetono il mantra finiano dello ius soli moderato, ovvero può essere cittadino un bambino nato in Italia da genitori stranieri che soggiornano da 5 anni nel nostro Paese in modo regolare.
A mio avviso, tutte queste restrinzioni sono puramente ideologiche e quindi fittizie, infatti è possibile che un ragazzo a 18 anni, avendo tutti i requisiti per ottenere la cittadinanza faccia richiesta e di trovarsi ad essere militare italiano, calciatore italiano e perché no, politico italiano. A 18 anni è già un elettore e pesare sulle decisioni politiche, ma è sempre un nascondersi dietro un dito perché, non è necessario che il diciottenne ottenga la cittadinanza per votare, ci sono dei casi in cui il diritto di voto è esteso anche agli immigrati, come per le elezioni comunali (nei comuni ove è riconosciuto) e i referendum.
Tale assurdità però non la chiamerei semplicemente razzismo, ma xenofobia, paura dello straniero, al di là della sua “razza”. Oggi un italiano che va negli USA anche soltanto per un vacanza deve compilare (sull’aereo!) un foglio per essere accettato, un russo per entrare in Italia a trovare i suoi cari deve dichiarare di essere ospite presso qualcuno che ha cinquemila euro in banca come garanzia che può ospitarlo e se sei tunisino… non ne parliamo nemmeno in questo periodo in cui non valgono più gli accordi siglati tra le due nazioni in cui bastava avere il passaporto e fare il visto, adesso bisogna firmare un po’ di pratiche burocratiche contemporanemente da una parte e dall’altra della sponda, tra cui una voce che informa che dovrai denunciare il tuo ospite al comando di polizia della tua zona entro 48 ore del suo arrivo.

Non sarebbe forse meglio realizzare a piccoli passi dei processi di cosmopolitismo, di abbattimenti dei confini per la libertà degli spostamenti, l’abolizione delle cittadinanze? In fondo, quali sono i vantaggi oggi di essere italiani e di non essere apolidi? La libertà che ci regala l’essere cittadino europeo non può essere molla per espandere tale libertà al resto del mondo al di là degli accordi bellico-economici?

6 thoughts on “Io mi sento italiano ma per fortuna o purtroppo NON lo sono

  1. L’argomento è molto complesso e meriterebbe ore e ore di dibattito. La paura dell’ “altro” c’è sempre, che sia di un altra razza, religione o nazione. Il problema è averci a che fare. Solo “esorcizzando” queste paure si potrà avere un rapporto obiettivo con questo tema. Non nascondo che in modo utopico anche io dico “maledetto chi ha per primo detto ‘questo è mio’, e da lì ha creato il primo confine”, però se così non fosse saremmo come nel far west, perchè il buon senso non tutti ce l’abbiamo. Pensa in quante nazioni pensano che le donne debbano stare dietro un velo o che sia giusto lapidare un’adultera, ci rivediamo in questo? Per fortuna in Italia non è così. Allora le esigenze di “nazione” nascono proprio per stabilire degli ideali comuni: la democrazia, il diritto di processo, la libertà di stampa, il divieto di maltrattamento degli animali, etc. Per moltre altre il paese si divide o non è per nulla d’accordo: eutanasia, laicità dello stato e delle sue strutture pubbliche, riduzione degli stipendi e dei benefit della casta politica. Sinchè prevalgono gli ideali comuni si rimane con un bel senso di appartenenza alla nazione, quando non è più così si pensa se non sia meglio emigrare. Potrebbe esserci un italo-argentino con un forte senso di condivisione come potrebbe esserci un “italiano” con uno scarso patriottismo. Per gli immigrati è lo stesso, un minimo di regole ci vogliono… d’altra parte ad un comune italiano vengono dati 18 anni per abituarsi e maturare la propria idea di Italia.

  2. Il problema delle differenze culturali aumenta quando tracci una linea di confine. Ora non voglio dire che senza confini ci saremmo evoluti tutti quanti nello stesso modo, tantomeno che nella cultura occidentale si esprima la civiltà migliore, ma sicuramente un ragazzo nato in italia che deve aspettare 18 anni per sentirsi al pari di tutti gli altri italiani vivrà sempre un senso di estraneità maggiore di quello che già la sua diversa cultura gli procura, e allora magari si trinceererà nel ghetto dei suoi connazionali, il ghetto degli esclusi, e non ne uscirà mai, né lui né la generazione a seguire. Questa mia è solo un’ipotesi e un dibattito lungo è quello che spero esca fuori, come Abattoir comanda :)

  3. Yo me siento italiano, lo soy, pero vivo fuera desde hace años. La he obtenido por mis abuelos y estoy muy orgulloso de ello. Pero también soy español y estoy orgulloso de ello -e inclusive hasta argentino. Se puede poseer una nacionalidad y ejercerla parcialmente por recuerdos, por tradición familiar, por cultura gastronómica. Luego uno elige vivir en un sitio y ello representa el espacio donde tal vez se siente más cómodo y representado. Los limites están puestos por la dificultad de asumir los movimientos de población que impulsa la globalización y por ahora no creo que ello los modifique. Otro ejemplo podría ser la inmensa comunidad china que vive en España.

    • “Luego uno elige vivir en un sitio y ello representa el espacio donde tal vez se siente más cómodo y representado.”
      La penso esattamente così.

  4. He sometido “osteggiata” al traductor, seria “oponerse” en español. Da para mucho que hablar, de manera transversal muchos se oponen a dar la ciudadanía a terceros por naturalización. En España a “los moros”, digamos a los ciudadanos de origen árabe y musulmán y el caso de los turcos en Alemania es indicativo. Debería existir un camino intermedio, como el recorrido en Europa, uno es de una nacionalidad “x” y puede vivir y trabajar en el ámbito de la CE. En el fondo hablamos de una tercera ciudadanía más light para el ámbito de la globalización. Pero bueno, este es un debate que no encuentra espacio en la actualidad

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