The Italian Job #2 : “To mob”*

Le specie animali ci hanno sempre insegnato molto, ma quando Lorenz parlò di “Mobbing” per indicare l’attacco compiuto da un animale contro un proprio simile allo scopo di estrometterlo dal proprio territorio, non credo prevedesse tutto lo schifo che il mondo umano ha aggiunto a questo termine mutuato dall’etologia.

Infatti, l’Italia sarebbe una Repubblica fondata sul lavoro, cioè, tradotto secondo il contesto attuale: “l’Italia è una Repubblica fondata sui calci in culo”. E non mi riferisco solo (ma anche) alle “conoscenze utili” (quasi unico mezzo attraverso cui ottenere un’occupazione), ma ai sonori calcioni che ricevi quando lo hai questo lavoro, che sia in nero, lap, co.co.co. e co.co. a progettino, a tempo determinato o (se hai baciato il culo di qualche santo) indeterminato; come se dovessi non solo farti il mazzo, ma anche ringraziare ad aeternum chi te lo ha dato, prostrandoti nudo ai suoi piedi e facendoti frustrare ogni volta che il Santo D.d.L. (Datore di Lavoro) ne avrà voglia… senza dimenticare di urlare: “Ah! Sì! Padrone, più forte, fammi male, fammi tutto quello che vuoi!”. A questo si aggiunge una sana dose di masochismo, nel senso che è anche e tristemente vero che in Italia c’è una maggiore tolleranza del conflitto in ambiente di lavoro: a differenza dei tedeschi (che non consentono che neanche alzare la voce sia “la normalità” sul luogo di lavoro, ode a loro!) pare che l’italiano medio, tra i suoi tanti difetti, annoveri anche quello di accettare lo stato di conflittualità lavorativa come una normale routine. Ed è qui che riveliamo di essere dei provincialotti mediocremente illusi: quando neanche ci accorgiamo che molto spesso questa “normale routine” scivola silenziosamente verso altro, un altro che è fatto di abusi, aggressività, maleducazioni, violenze psicologiche e sfruttamenti che – e daglie oggi, e daglie domani – si traducono in uno stress che lede inevitabilmente alla nostra sacrosanta Qualità della Vita.

Per questo sarebbe auspicabile che la parola “Mobbing” divenisse nostra Amica: sapere che ciò che ci fanno ha un nome, che capita spesso e ovunque, che esiste (e che ci si può tutelare anche legalmente da esso) e che NON è normale può farci prendere coscienza del problema e aiutarci a capire come affrontarlo.

Iniziamo allora a familiarizzare con Lui: il Mobbing consiste in atti, atteggiamenti o comportamenti di violenza morale o psichica in un contesto di lavoro, ripetuti nel tempo in modo sistematico o abituale, che portano ad un degrado delle condizioni di lavoro idoneo a compromettere la salute o la professionalità o la dignità del lavoratore.
Ciò si traduce più nello specifico in una comunicazione ostile e non etica e in un insieme di comportamenti violenti (abusi psicologici,angherie,vessazioni, emarginazione, umiliazioni, maldicenze, limitazione della possibilità di comunicare, isolamento, minacce, privazione delle informazioni necessarie per lo svolgimento del lavoro, sabotaggio, etc.) che singolarmente non sempre raggiungono la soglia del reato né sono di per sé illegittimi, ma che nell’insieme producono danneggiamenti plurioffensivi anche gravi, con conseguenze negative sull’esistenza della vittima.

Lo conoscevate? Molto probabilmente sì, ma forse non ne eravate consapevoli.
Siatelo, allora, perché il mobbing è un problema non solo diffuso, ma anche meschino e abietto, privo di senso, se non quello di sollazzare beceri interessi economici e narcisistici di chi lo porta avanti. In esso, infatti, i partecipanti rifiutano di porre il conflitto su un piano razionale e rimangono sulle loro posizioni emotive, percepite come giuste; non si cerca una soluzione o compromesso, ma il livello di conflittualità si mantiene alto per esercitare pressione e controllo sulla vittima; tutti i partecipanti giudicano scorrettamente il conflitto, ma nessuno se ne assume le responsabilità; tutti mostrano impotenza; tutti, quindi, sono rispetto ad esso “perdenti”.
A ciò si aggiunge più concretamente che, in conseguenza ai ripetuti attacchi ricevuti, la vittima sviluppa spesso disturbi di natura fisica e psichica durevoli nel tempo (tra cui depressione, insonnia e o sonno disturbato, apatia, insicurezza, paura del fallimento, bassa autostima, agitazione, problemi di concentrazione e memoria, dolori lombari/cervicali/muscolari, disturbi post-traumatici da stress, profondo malessere per le umiliazioni subite, stati d’ansia, nervosismo e ipersensibilità).
Il mobbing, dunque, destabilizza gradualmente l’intera economia di vita della vittima, ma anche dell’intero ambiente di lavoro, in cui introduce un clima malsano e d’ansia generalizzato che intacca inevitabilmente la qualità della vita e il rendimento di tutto il contesto lavorativo (es.: cali di produttività e minore motivazione al lavoro). Da questo circolo vizioso non è immune neanche la società, che deve sostenere economicamente le vittime corrispondendo spesso pensioni prima del tempo dovuto e garantendo prestazioni sanitarie di vario tipo.
Il mobbing, quindi, è più propriamente una patologia di sistema, dove il sistema è quello lavorativo, ovvero quello su cui si fonda la nostra Repubblica, ovvero l’Italia, ovvero noi stessi poveri italiani.

Si potrebbe classicamente concludere che anche qui gli animali sono migliori di noi.
Preferisco invece lanciare una pietra e dirvi che, anche se in Italia il mobbing non è ancora riconosciuto come reato, non siamo impotenti di fronte ad esso!
Prendiamo innanzitutto coscienza che il motto usato ironicamente dai tedeschi (quegli stessi tedeschi che sul lavoro oggi si tutelano più che mai!) “il lavoro rende liberi” dovrebbe liberarsi delle sue valenze ironiche e diventare una garanzia per ogni cittadino; da questa consapevolezza, dovrebbe nascerci una dignità che impedisca di continuare a tenere il capo chino e di fare tanto fumo senza poi lasciare arrosto e che ci incoraggi invece a passare ai fatti dimenticando l’omertà nello scarico del cesso. E bisogna smettere di pensare che la conflittualità lavorativa sia una normale routine che per questo dobbiamo subire, perché così non è; anzi, manchiamo di rispetto a noi stessi quando riteniamo che sia così! Giacché il fine di ogni essere umano è non il lavoro, ma la felicità, a cui possiamo approdare tramite un lavoro dignitoso che ci consenta di raggiungere ciò che ci rende felici e che (essendo un nucleo centrale della vita di ognuno di noi) deve inevitabilmente essere parte di questa felicità.

Sappiate inoltre che la Costituzione italiana (artt. 2-3-4-32-35-36-41-42) assicura la tutela del lavoratore ed il risarcimento dei danni subiti in conseguenza dei comportamenti mobbizzanti; e che sul datore di lavoro grava l’obbligo contrattuale (derivante dall’art. 2087 cod. civ.) di tutelare la salute e la personalità morale del dipendente.
Pertanto, l’assenza di una specifica previsione legislativa non impedisce di difendersi dal mobbing: nel nostro ordinamento esistono norme (costituzionali, civilistiche, penali e specialistiche) che tutelano da questo tipo di vessazioni e molti comportamenti che le caratterizzano trovano una precisa connotazione in numerosi articoli del codice penale (abuso d’ufficio, lesione personale, ingiuria, diffamazione, minaccia, molestie)… anche se per applicarle – ed ecco lo scoglio più grande per un popolo di omertosi! – bisogna ovviamente provare che esso sia stato causato da una condotta illecita dei Santi D.d.L.

Ma io, anche qui, preferisco andare al di là delle classiche conclusioni, e preferisco lanciarvi una pietra: impariamo a dare un nome alle cose, a cambiare il sistema e noi stessi, a creare circoli virtuosi (vs viziosi); e, in sintesi, impariamo a DIFENDERCI.

Fonti:
http://www.snfia.org/mobbing/associazioni-enti.htm 
http://it.wikipedia.org/wiki/Mobbing#La_tutela_giuridica
http://www.uil.it/mobbing/normativa.htm
http://www.mimamobbing.org/difendersi.htm

* Il termine “mobbing” deriva dall’inglese ‘to mob’, che significa “assalire, aggredire, affollarsi, accalcarsi”.

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