Generazione “picchio”

Care lettrici e, orizzontalmente1, cari lettori cresciuti tra gli anni ’80 e gli anni ’90 delle improponibili tute in cerata, vi siete mai chiesti il perché di un’evidente deviazione della parte sana del vostro cervello verso altre forme (ma tutte condivisibili su Facebook)? Con umilté, vi guiderò al recupero memoriale di determinati avvenimenti che hanno, in maniera irreversibile, (de)formato la mia mente e in cui molti di voi si rispecchieranno.

Quando ero poco più complessa di un protozoo, non avevo ancora accesso alla televisione. Non per ragioni educative, ma semplicemente perché di tv ce n’era una ed era sempre occupata dalla faccia di Purgatorio del poliedricamente statico Charlton Heston, prima in versione Mosé e poi in versione Giuda Ben Hur. Dunque il buon padre era solito leggermi un libro, che all’epoca mi appariva gigantesco, una raccolta delle fiabe di Andersen. Non sottovalutate mai il potere delle fiabe. Fu allora che la tragedia fece capolino nella mia mente innocente, corrompendola per sempre. Ho imparato che le principesse erano sempre bionde e bellissime (quindi io al massimo sarei potuta essere la figlia segreta di Mami di “Via Col Vento”) e non riuscivano a dormire con un pisello sotto sette materassi (anche se Biancaneve dormiva con sette piselli su un materasso); ho scoperto che non importa se vendi la tua coda alla strega del mare per stare con il tuo amore… lui ti lascerà e non ti resterà che trasformarti in spuma di mare. Il trauma vero e proprio è stato tuttavia causato principalmente da “La Piccola Fiammiferaia”, che morì sola e sepolta dalla neve MA con un sorriso sulle labbra. Da quel momento, ogni volta che mio nonno prendeva un fiammifero per accendersi la sigaretta, io avevo il terrore che la nonna della piccola fiammiferaia si palesasse e mi portasse con lei. Fu così che il picchio2 fece il suo ingresso trionfale nella mia vita appena sbocciata.
Per fortuna arrivarono le videocassette di Walt Disney, e lì, dove i principi condividevano con me la sciagura di dover portare la calzamaglia, cominciai a credere che il bene vince sempre e che Andersen si era sbagliato. Sfortunatamente, per un compleanno, mi regalarono la vhs di “Bambi”. D’altronde perché non fare conoscere la morte violenta ad una bambina candida come la candida? Vi rievoco brevemente la scena: musica che non fa pensare a niente di buono, la mamma cerbiatta che fa correre Bambi veloce davanti a lei, uno sparo e il cerbiattino solo nella tormenta di neve che chiama la mamma. Ad un tratto, con un palco di corna da competizione, esce dal buio un cervo che, con voce ferma, dice: “La tua mamma non tornerà mai più!”.
E così l’angoscia e il terrore piantarono il loro vessillo nero sul mio cranio inclinato.

I cartoni animati che si vedono adesso non insegnano nulla. Quelli per i più piccoli sono un inno alla lobotomia post-natale e quelli per i grandi sono un mix letale di follia nipponica e sangue. Noi siamo stati più fortunati, noi avevamo Lady Oscar, la cui sigla esordiva con un allegro “il BUON padre voleva un maschietto ma, AHIME’, sei nata tu”; avevamo sostanzialmente cartoni pieni di casi umani e disgrazie, che ci hanno consentito di essere, almeno per un certo periodo di tempo, vicini al prossimo che soffre. Next! La morte di Anthony che cade da cavallo in Candy Candy, Milly che, un giorno dopo l’altro, veniva inculata con qualcos’altro, Lovely Sara (da cui i genitori trassero spunto per inventare la punizione del “ti mando in collegggio”), le disgrazie di Charlotte e il fratellino di Annette che si fracassa le ossa nel burrone, quella spaccamaroni di Heidi e, infine, il bambino più fortunato del mondo, il dolce Remì de ‘sta cippa. Orfani, orfanotrofi, ingiustizie, speranze infrante, sofferenza. Per la serie: bambini, benvenuti sulla Terra!

La mente degli infanti è molto facile da plagiare. Se poi gli stessi infanti si trovano in mezzo al fuoco incrociato dei suddetti cartoni da una parte e delle monache dall’altra, è la fine. Per tutti noi è arrivato, puntuale come un rutto dopo aver bevuto una gassosa, il momento di confrontarsi con le proprie radici cristiane. E fu allora che si generò il fenomeno dell’obbligo di vedere “Marcellino Pane e Vino” su retequattro. Anche sei, sette volte. E le conseguenti notti insonni guardando il crocifisso appeso sui nostri lettini, grondando di sudore pervasi dal terrore che ‘Manuél’ scendesse giù, ci prendesse fra le braccia e ci chiedesse di dormire. Per sempre.

I genitori non si rendono conto di quante delle nostre ombre, delle nostre insicurezze derivino da quel tipo di film. Non dimentichiamoci di “Bernadette”, la pazza che vide la Madonna che, per premiarla, le fece venire un cancro dolorosissimo alle ginocchia. Con estrema vergogna, ammetto che le suore del Maria Immacolata di Lourdes erano riuscite a farmi vedere simili cose come benedizioni. Ma il misticismo fu scatenato nella mia mente di bambina di sette anni, dalla visione di “Fratello Sole, Sorella Luna” di Zeffirelli. Fu allora che cominciai a parlare agli scravagghi e schippiuna3, abbracciare gli alberi e salvare i vermi dalla strada.

Certe cose ti segnano, non c’è che dire.
Il processo è irreversibile e tu, che hai ancora dentro ricordi di infanzia costellata dalla presa di cosienza che il mondo è un posto che sembra quasi ideato da Stephen King e che gli uccellini non ti aiutano a vestirti ma ti cagano sulla spallina del vestitino buono da cerimonia fatto dalla nonnina, ti ritrovi alla finestra, a canticchiare “Gli anni” degli 883 e capisci che qualcosa, nel tuo processo evolutivo, è andato storto.

NB: La parte dell’adolescenza è stata volutamente rimossa in quanto rievocare QUEI traumi (faccia cessiforme, cerchietti portatori di orecchie a sventola e disgusto del mondo maschile verso di te) mi avrebbe riportato tra le braccia del principe azzurro della donna moderna: lo psichiatra.

1cit. dal personaggio di Antonio Albanese, Cetto la Qualunque.
2 termine palermitano che indica la sfiga nelle sue sfaccettature.
3 Dal siciliano, scarafaggi e gechi.

5 thoughts on “Generazione “picchio”

  1. Ti amo!!!! Sposami ora e facciamo tanti bambini(????) A cui far vedere Marcellino pane e vino. Cmq il mio trauma infantile era il tizio della bistefani che si trasforma in babbo natale. Sapevatelo.

  2. “Milly che, un giorno dopo l’altro, veniva inculata con qualcos’altro”
    Ahahahah!
    Be’, avendo qualche anno di più, oltre che dagli shojo (se si scrive così) sono stato segnato dai cartoni animati dei robottoni, per cui da bambino scrutavo il cielo per vedere se mai ci fosse un disco volante provieniente da Vega o paventavo mostri guerrieri che sorgessero dal centro della terra, ricettacolo di antiche civiltà sopite che quando di risvegliavano erano cazzi, perché volevano riprendere il controllo della superficie distruggendo e devastando tutto.
    Poi da grande ho abbandonato questi timori puerili perché ho avuto la consapevolezza che tanto tutti ‘sti mostri robotici o dinosauri anacronistici se la prendevano sempre con Tokyo, figurati se si filano la Sicilia e Bagheria!

  3. ve lo dico, ma promettetemi di non ridere.
    Frequentavo un doposcuola, avro’ avuto 6-7 anni.
    I maschietti piu’ vecchi si ricorderanno di Voltron e della mitica Voltron Force. Bene, c’era un tale, che chiamerò Luca Passantino, avrà avuto 12-13 anni, che portava ogni giorno il mitico Voltron Giocattolo.
    Con i “Liuna” (leoni in palermitano) che si staccavano, le plastiche che saltavano, e tutto il resto che volava ecc.ecc.
    In qualche modo mi aveva convinto che un giorno, un giorno qualsiasi, se facevo il bravo con lui (dargliela vinta sempre e comunque), ed indossando una tuta spaziale bianca, come quella dei protagonisti, sarei stato protagonista insieme al cartone animato delle nuove puntate.
    Ci credevo, minchia la voltron force, mica quelle schifezze dei puffi…(che amavo comunque), rubai il casco a mio zio (che mise a cercarlo come un pazzo per giorni), e con addosso dei piumoni guardavo le puntate, sperando di essere, in qualche modo, “risucchiato” dalla tv.
    Quando mio padre mi scoprì, oltre a sentirgli scappare un paio di “…minchia fa’?” appena sussurate, mi crollo’ il mondo addosso.
    GIorni dopo tornai al doposcuola, Luca Passantino era ancora li’, alla domanda: “Perche’ non sono venuti a prendermi?” mi rispose, piu’ laconico di un prete: “non hai rispettato i patti ed adesso non verrano mai piu'”. Piansi, gli tirai il voltron nel cesso e tornai a giocare con i puffi.
    Certo che se ne fanno di fesserie da piccoli!
    Be’ vado…ci sono le repliche di Voltron su Manga!

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