Vedo Palermo#sempre più prigione

Foto di Sonia Melilli - Corso Vittorio Emanuele, Palermo

Foto di Sonia Melilli – Corso Vittorio Emanuele, Palermo

Fuori le mura di Palermo c’erano le campagne, un tempo, adesso c’è più vita che nel centro storico. È incredibile pensare oggi che Porta Nuova sia stata eretta per dividere il dentro dal fuori. Ora Palermo è molto di più: è più grande, più rumorosa, più labirintica ed infinita rispetto al passato, che abbiamo dimenticato. Dentro e fuori si confondono. Bella o brutta. Bella e brutta. Restano soltanto dei cocci malandati e pieni di infiltrazioni che testimoniano il vecchio ordine costituito; potrebbero cadere da un momento all’altro, quei cocci, e come fanno al contempo a rimanere su, dopo tanti secoli, mentre tutto attorno è cambiato? I più, dotati di un misero senso dell’imprenditoria, si chiedono perché non fare un nuovo tutto a un euro.

Mi ostino a passar dalla parallela di Corso Tukory per fantasticare una fisionomia urbana ormai mantenuta a denti stretti dagli indigeni. Spuntano delle finestre e un soppalco, un terrazzo e un garage, lungo quel che rimane delle mura di Palermo.

In Corso Vittorio Emanuele è arduo non voltare lo sguardo a destra e a sinistra: ecco i vicoli! Mi costringono ad approfondire la curiosità: cosa serpeggia lungo gli obliqui e sottili accessi alla città vecchia? Mi danno l’anima da quando ho capito che agli attuali abitanti non servono più scorciatoie come queste, fresche e al riparo dal sole in estate, possibilmente affascinanti tutto l’anno. No, gli abitanti preferiscono ergere dei muri di separazione (da cosa poi?), tapparli insomma, delegittimando la funzione primigenia del vicolo. Ogni volta, passando da lì, penso di fondare un immaginario Comitato di liberazione dei vicoli di Palermo.

In realtà, mattoni su mattoni, ci stiamo costruendo una prigione collettiva, dentro alla quale si svilupperanno sempre di più le celle di ogni proprietà privata, belle ed innovative dentro, ma spesso senza un fuori, senza una facciata.

Fermo restando che Corso Vittorio è un caleidoscopio di sensazioni ed emozioni, belle e perturbanti allo stesso tempo, è il capolavoro dell’ingegno umano che resiste nonostante le bombe della guerra e il masochismo popolare. Non c’è nessuna Via della Conciliazione che può giocare allo stesso modo della strada del Càssaro, che unisce montagna e mare in un colpo solo e che ti fa venire voglia di restare a guardare per ore quale artificio qualcuno ha costruito per accontentare la nostra vista.

Lungo la strada del mare, oltre Porta Felice e di fronte al porto, si trova, poi, quella cosa che non riesco a definire: una costruzione che si immette nella lunga schiera di edifici che si affacciano alla marina, che sembra volersi fare riconoscere a tutti i costi. Bene, forse in pochi hanno potuto ammirare un tale frutto della creatività architettonica panormita. Siamo forse vicini ad una manifestazione artistica ancora sconosciuta ai cultori delle forme contemporanee. Sto parlando di quell’abitazione a due piani e mezzo, o tre, che raccoglie lungo la facciata tutti i segni del tempo: cosa era prima, cosa era prima ancora di essere prima, cosa sarà stata dopo. Insomma, quest’edificio è il simbolo del rispetto che l’abitante della città prova nei confronti della bellezza. Forse era una casetta, forse una chiesa, forse da lì sfociava un vicolo sormontato da un arco, anzi due… Sappiamo che c’è vita dove ci sono finestre con dietro le tende sistemate. Ma, finché a Palermo vivere vorrà dire mettere su due mattoni e una porta, abbiamo poche speranze di ritrovarci fuori dalla prigione della bruttezza.

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