Vedo Palermo #Che si dice?

foto di Gas Giaramita

Mah, non ci si lamenta. Le cose da fare ci sono. Siamo imperfetti, non c’è dubbio, ma abbiamo la voglia di creare, leggere, metterci in vista, occupare abitazioni abbandonate, denunciare anche per un solo giorno. Non credere che siamo degli attivisti col sangue bollente, no, forse siamo un po’ a convenienza: a ottobre ci occupiamo della scuola, a dicembre della crisi economica, a maggio della mafia, a giugno del pride. Siamo sempre criticoni e gli altri sono sempre incompetenti. Dovremmo occuparci sempre dei problemi, come da piccoli prima di andare a letto non potevamo non rivolgerci, tutti piatusi, a ‘lu Signuruzzu, sperando che espiasse i nostri peccati e ci desse la possibilità di un’altra giornata di salute e gioia.

Siamo quelli che capiscono “frischi per frasche”: se ai palermitani, poni caso, tolgono il pane con la milza, s’incazzano, è ovvio. Se i vigili non fanno un cazzo contro i posteggiatori abusivi, essi accettano in massa di pagare il pizzo. Se l’ordinanza attacca gli immigrati, non frega niente a nessuno. Che discontinuità.

Le strade sono lisce, quasi lucide a volte, il sole si riflette sull’asfalto consumato. Devi schivare gli avvallamenti, le ricostruzioni temporanee per tappare le buche; devi incolonnarti ad una fila inutile per raggiungere un posto che raggiungeresti prima a piedi o in bici.

I bambini passano ancora il proprio tempo a giocare a palla, sono stati aperti nuovi spazi verdi, ma loro si accontentano pure dei mattoni scortica-gambe del Tribunale.

Le ville, i prati, i parchi, alcuni molto curati, ma rimane da chiedersi se dureranno o se la stramaledetta dea dell’incuria attecchirà pure su di essi.

C’è una popolazione che corre, che suda, che preferisce non sentire più i clacson infiniti sotto casa o vedere certi ruderi della modernità. Però è strano restare molte ore su un prato mentre non senti più cosa formicola incessantemente attorno: ascolti e percepisci uccelletti, insetti, madri e bambini, qualche cagnolino, il vento che si poggia sulla vegetazione spontanea, o il mare che al Foro Italico resteresti a guardare per ore, con l’ansia di doverti sentire un frammento davanti all’ampiezza del globo. La megalomania di chi vive a Palermo si arresta di fronte al mare.

Chi siamo in fondo?

Individui che s’illudono di avere il possesso almeno di una casa, che lo Stato ti espropria con tutte le tasse. Siamo persone che vorrebbero avere potere almeno sul proprio corpo, che si ammala regolarmente, che sarà costretto a degenerarsi un giorno, come a dire, ecco il compromesso raggiunto dall’uomo del 2000: può avere tutte le comodità del mondo, basta che scavi una buca in periferia e gli infili dentro tutte le schifezze che non sai dove portare. Ha una paura: spera di non soffrire o di non diventare scemo ad un certo punto della sua vita. Spera in una morte degna ed indolore. E di mantenere quel tetto sulla testa, almeno finché il comune non deciderà di costruirci sopra la linea x della metro, che mai riusciranno a terminare.

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