Generazione Y: pronti per la fine?

Una volta scoperto che a vent’anni non si è più un teenager te ne fai una ragione, te ne fotti! Te ne sbatti il cazzo di tutto e di tutti, sempre dritto verso un culmine di emozioni ed esperienze. Ti rompi letteralmente la testa e le corna contro l’esistenza per scoprirla, per amarla, o odiarla. Una volta scoperto che quello potrebbe essere stato il tuo sensazionale picco vitale volgi lo sguardo al calendario e ti rendi conto che altri dieci anni sono passati!
Se tutto va bene la vita è ancora lunga e piena di imprevisti; se tutto va bene riuscirai un giorno a dire che questi anni sono stai i più belli che tu abbia mai vissuto e ti ricorderai quando eri giovane e forte, bello e ribelle. Ma poi, ad un certo punto, di nuovo lo sguardo cade sul calendario che indica che a breve un altro anno passerà. Sono giorni, settimane e mesi che compongono la tua vita, e non ci dovremmo permettere di perderne nemmeno uno per impegno ed attenzione ma, ahimè, così non è!

Ti rendi conto che l’età avanza per piccole semplici cose. Come la tua vita sociale, come l’energia e la voglia di fare cose, come il tuo corpo che poco a poco cede. Più che altro è la sensazione di essere arrivati che non si esaurisce mai. Continuiamo ad andare verso qualche parte senza riuscire a trovare il senso di tutto questo, un posto dove stare, o qualcuno con cui stare.

«Ho conosciuto una ragazza, mi ha lasciato dopo un mese per Candy Crush». Questa è la vita che ci si prospetta al momento. A trent’anni vorresti fare il punto della prima metà della tua vita: siamo a tutti gli effetti al giro di boa, anche se camperai per altri cento anni.
A trent’anni vorresti aver già lavorato dieci anni e avresti bisogno di un anno sabbatico per poter fare i conti con il tuo futuro. A trent’anni c’è chi si è già fatto una famiglia e vorrebbe stare solo un po’ di più a casa con i suoi cari per sfruttare gli ultimi anni di giovinezza e spensieratezza per giocare da bimbo con i suoi bimbi. A trent’anni c’è chi si è magari rotto il cazzo della sua famiglia e della sua vita e ne cerca una nuova. A trent’anni c’è di tutto, anche uomini e donne soli in preda a crisi isteriche generazionali.

Siamo ancora la Generazione X figlia del baby boom? C’è mai stata una consapevole costruzione delle nostre coscienze in queste ultime decadi? Facciamo parte ancora di quella grande massa di bambini spigliati e cicciottelli nutriti con scorie radioattive? Io penso che chiunque abbia avuto a che fare con questa realtà, e con i suoi protagonisti sociali, sia ormai proiettato verso una nuova generazione, verso una Generazione Z, o Y, forse l’ultima di un mondo civilizzato per come lo conosciamo noi oggi.
L’equilibrio tra alienazione sociale e necessità di relazioni si rompe. C’è più socialità in un gruppo WhatsApp che in una stanza piena di gente ad una festa! Chi è nato negli anni Ottanta forse più di tutti alimenta dubbi riguardo l’interesse che questa società ha deciso di riservarci. Veniamo da una generazione considerata apatica, cinica, senza possibilità alcuna di redenzione. Ci hanno cresciuto a pane e strafottenza lasciandoci sperimentare il nostro essere liberi, per la prima volta nella storia, da vincoli morali o costrizioni di tipo etico. Tutto ci è stato permesso, e tutto è stato fatto!

Oggi nasciamo già grandi e super stimolati, la nostra generazione tra le più intraprendenti al mondo ha cambiato per sempre la storia dell’informazione e della comunicazione. Tra i mister X abbiamo forse i più grandi inventori della storia, con la nascita dell’era digitale tutto si è evoluto e tutto si è velocizzato. Il muro di Berlino cadeva in Europa lasciando entrare idee di libertà e di ottimismo. L’onniscienza dell’individuo contrastava fortemente con gli appellativi con i quali le generazioni passate ci criticavano. Invidiosi!

Abbiamo cercato di sfruttare al meglio le nostre nuove capacità che probabilmente ci condurranno alla distruzione di noi stessi. Il non adottare un sistema di valori, che un tempo si appoggiava per esempio sull’educazione cristiana, ha reso lecito spingersi al di là del limite umano. Infatti il termine “Generazione X” fu coniato proprio per uno studio sulla gioventù inglese condotto da Jene Deverson nel 1964. Il termine venne poi inflazionato e reso commerciale. Spesso la sociologia crea delle mode!

Arriviamo ai giorni nostri, alla “Millennial Generation”, la “Net Generation”, quella che alcuni hanno chiamato la “Generazione Y”. Il termine appare per la prima volta su una rivista nel 1993 (fonte Wikipedia), e considerava la nuova generazione (anche nota come MTV Generation) una rottura tra la Generazione X e i teenager dei primi anni Novanta!
Lobotomizzati da Play Station, aspartame e Britney Spears, siamo figli degli ultimi superstiti del baby boom post guerra e ci affidiamo ancora alle nostre famiglie, dispersi per il mondo, consapevoli che, al di là di tutto, si deve tirare a campare o quanto meno provarci: non è il momento di vivere adesso. Siamo cresciuti in fretta e furia districandoci tra crisi economiche, politiche e sociali, tra guerre e presunte rivoluzioni. Siamo figli di un Occidente filo americano e con difficoltà accettiamo la nuova integrazione culturale verso le quale ci stiamo inesorabilmente dirigendo.
Affranti da questo palcoscenico non ci rimane che condividere i nostri sentimenti e le nostre esperienze con le comunità in rete, l’unica al momento che riesce a veicolare i nostri messaggi patemici sul doppio canale messaggio-risposta. Ma, come detto, questa generazione è riuscita anche a ottenere i risultati in campo tecnico, scientifico e sociale tra i più importanti di sempre. Purtroppo senza tenere in considerazione la deontologia etica della condizione umana e del suo territorio.

In buona sostanza, ci dirigiamo ad occhi bassi, sovrappensiero, verso la fine di questi giorni, noi e i nostri fratelli assisteremo adesso alla fase finale di questi cambiamenti straordinari che porteranno il mondo fra decenni a guardarsi indietro e indicare questo periodo storico come il più grande e virtuoso gioco di conoscenze e saperi, e insieme di emozioni e apatie, che hanno permesso ad ognuno di noi di formarsi come essere, più o meno umano.

Noi trentenni, che al giro di boa ci siamo già e che valutiamo adesso il nostro futuro prossimo, non riusciamo a vedere più in là del 5 del mese (se tutto va bene).
Noi, classe dirigente del nostro futuro, non ci siamo voluti sporcare le mani fino ad ora per gridare al mondo intero la nostra esistenza e la nostra appartenenza alla società, perché non c’è bisogno di gridare quando sei all’interno e piano piano provi a risalire verso la luce per vedere di nuovo, per prendere fiato e, finalmente, avere un posto dove stare.

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