Storytelling – Nessuna persona per bene muore sparata

di Pigi Arisco

Cavolo, la camicia completamente bagnata di sudore, sento un po’ di refrigerio poggiando il braccio sul bracciolo di metallo della panchina dove sono seduto.

L’umidità di questo magnifico parco ha depositato delle piccole gocce fresche sulle parti di metallo. Mi concentro su questo brevissimo attimo di frescura. Ora che ho gli occhi chiusi riesco anche a sentire l’umidità sui capelli, sulla fronte.
Però fa caldo, tanto caldo.

Sono le 21.30 ed il caldo non accenna a diminuire. Fortuna che tutte queste piante intorno a me lo mitigano un po’.
Nel tragitto per arrivare fin qui stavo quasi per svenire, camminavo curvo in avanti e boccheggiante, poi mi sono accorto di quella splendida ragazza al chiosco dei fiori che mi guardava, e ho fatto una cosa che ogni uomo nelle mie condizioni avrebbe fatto, ma che risulta comunque una cosa stupida.
Mi sono messo dritto sulla schiena, ho gonfiato il petto, tirato in dentro la pancia e ho guardato un punto all’infinito in alto nel cielo. Il risultato fu una bella risata da parte della ragazza, il suono delle risa mi ha così fornito una scusa per guardarla, era molto bella e continuava a sorridermi.
E chi l’avrebbe mai detto che una figuraccia si sarebbe trasformata in un occasione per scambiare due chiacchiere con una così bella fioraia?

Mi ha detto di chiamarsi Maria, era la figlia del proprietario del chiosco.
Pensava fossi un turista, non mi aveva mai visto da quelle parti e con la macchina fotografica al collo, effettivamente ho l’aria del turista.
In un certo senso lo sono, sono toscano, ma ho vissuto per un bel po’ di anni in America per lavoro, quindi anche se sono stato in Lombardia diverse volte, un po’ turista lo sono.
Maria si mostra molto interessata alla macchina fotografica, è l’ultimo modello, l’ho comprata in America prima di partire. Le scatto qualche foto per farla contenta, mi fa promettere di portarle gli sviluppi delle foto appena li avrò.
Prometto, so già che non manterrò.
Dopo quello che farò stasera non posso permettermi di fare altri programmi. In altri tempi la macchina fotografica serviva per attirare le belle e giovani come Maria, oggi però la macchina fotografica ha il solo scopo di farmi sembrare un turista, interessato a fotografare la celebrità.
Da quasi due anni ormai vivo in un incubo. Decine di spettri vengono a trovarmi giorno e notte.
Sono donne, bambini, vecchi, giovani, tutti con il volto scavato dalla fame e gli occhi grandi e acquosi di chi non mangia da troppo tempo. Come se questo orrore non bastasse, sono anche martoriati, le carni lacerate, i vestiti a brandelli macchiati di sangue, come se una bomba gli fosse scoppiata accanto.
La povertà, la fame e la miseria sono mostri orribili, ma quando sono associati alla morte violenta assumono i contorni di un incubo insopportabile. Da troppi mesi cercavo di scacciarli dalla mente, ma loro continuavano a tornare, ad affliggermi con i loro angoscianti silenzi.
Dovevo fare qualcosa, per questo sono tornato in Italia.
La celebrità avrà finito di guardarsi lo spettacolino dei “Forti e Liberi”. Si definiscono ginnasti, a me sembrano un gruppo di scimmie ammaestrate che fanno capriole e piramidi umane per il sollazzo del loro padrone.
Accontentarsi di poco va bene, ma vendere la propria dignità per il solo sorriso di approvazione della celebrità mi sembra davvero un comportamento squallido, da schiavi. Sorrido pensando a quanto sia ironico il loro nome: “Forti e Liberi”.
C’è una certa agitazione intorno a me, vedo signori e bambini correre tutti in una direzione, ci siamo, la celebrità si sta avvicinando.
Guardo la sedia accanto a me, avrei voglia di prenderla, ma è troppo presto, meglio aspettare ancora un po’.
Ripenso ai giorni trascorsi. Al mio arrivo in Italia.
I giorni passati tra vecchie conoscenze per recuperare un “ferro” degno di questo nome. Ripenso a tutti i barattoli che ho sforacchiato per esercitarmi, decine e decine di colpi sparati verso celebrità barattolo, finchè la mia mira è diventata quasi perfetta, non posso permettermi di sbagliare, non avrò una seconda occasione.
Mentre prendo la sedia e salgo su di essa mi tornano in mente le ore passate a preparare le pallottole, piombo fuso regalatomi dal mio amico tipografo e gli intacchi sulla punta delle pallottole fatti con il coltello, così che una volta entrate nella carne non fosse tanto facile estrarne i piccoli pezzi. Le celebrità hanno sempre bravi medici.
Adesso sono in piedi sulla sedia, la pistola nella cintola mi sembra piccola, piccolissima, preferirei avere un cannone caricato a mitraglia, ma certe armi le hanno solo i vigliacchi dell’esercito; a me tocca di fare quello che va fatto con la mia piccola arma.
Estraggo la pistola mentre la carrozza della celebrità si avvicina, la posizione in piedi sulla sedia mi offre un’ottima visuale, punto ed il mio pensiero va a quegli spiriti che infestano i miei sogni, posso quasi vederli mentre aspettano con ansia l’esito del mio gesto.
Sparo.
Tre colpi.
Tre centri.
La celebrità si accascia nella carrozza, adesso non ha più quel ghigno osceno tipico dei potenti che si credono immortali.
Mi guardo intorno, cerco di capire chi sarà il primo, è un carabiniere, mi si lancia contro, mi butta a terra. Mi disarma.
Adesso che sono inoffensivo la folla di spettatori ha più coraggio, ha sete di vendetta, vogliono linciarmi. Sono pronto, era una delle opzioni possibili, avrei preferito una pallottola in fronte, ma sono pronto anche alle botte.
Il carabiniere si alza, e mi difende! Non vuole che sia fatta giustizia sommaria. Che animo nobile!
Chissà dov’era due anni fa quando l’esercito sparò con i cannoni contro la gente affamata, e chissà dov’era il suo senso di giustizia quando la celebrità ha dato la Croce di Grand Ufficiale all’assassino Beccaris per rimeritare il servizio reso alle istituzioni e alla civiltà.
Mentre mi trascinano via vedo gli spettri, sono ancora spaventosi nell’aspetto, ma le loro espressioni sono diverse, più serene.
Sono le 22.30 del 29 luglio 1900.
Mi chiamo Gaetano Bresci.
Tessitore, Anarchico e Uccisore di re.

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