di Marta Riccobono
L’aver ricevuto in dote da Madre Natura una vagina vongoliforme e – da un certo punto della vita in poi – peloadornata, costringe le destinatarie di siffatto presente ad adeguarsi ad una sterminata sequela di norme sociali variabili nel tempo e nello spazio, ma invariabilmente scassaovaie. E ‘sta cosa non è bella.
Il problema è che se sei femmina il resto del mondo si aspetta qualcosa da te. Si dà per assunto che il resto del mondo ci abbia il pisello, o pisellino, o minchia, nerchia, verga, asta, fallo che dir si voglia, comunque quella cosa che se ce l’hai sei autorizzato a decidere le regole del gioco e se non ce l’hai invece devi chiedere: “Posso giocare?” e se putacaso ti rispondono di sì, novanta su cento perdi sicuro. Queste Regole della Minchia sono potenti assai e praticamente hanno dato forma al mondo cognito e pure a quello scognito; sono chiave d’accesso per terra, cielo, e per ogni luogo perché, diciamoci la verità, pure Dio che è l’essere perfettissimo noi ce lo siamo sempre figurato come un masculazzo alto due metri. Sennò si sarebbe chiamata DiA, no? Anche la grammatica congiura contro il popolo della vongola.
La prima a ricevere in dote una vagina è stata Eva, che si mangiò la mela senza permesso ed è quindi notoriamente buttana. E vegetariana, perché le disgrazie non vengono mai a uno a uno. Il problema è che la signora ha fatto di testa sua, ha sgarrato dalla regola del gioco: “Chi tocca l’albero di mele scippa legnate!” aveva detto il padrone dell’orto. E a Eva giusto giusto ci spinnò una mela.
“Chi cavuru, chi arsura na stu jardinu! Ma manciassi ‘na frutta frisca!” disse Eva. “E picchì un ti manci ‘na mela? Ce n’è un albero pieno pieno!” disse il serpente. E Eva si fece due conti, allungò la mano, staccò una mela dall’albero, diede il primo morso, e ne fu soddisfatta. Talmente soddisfatta che pensò bene di mettersi a offrire. “Adamo chi fa, c’u vo’ dari un muzzicuni?” E Adamo muzzicò. Quando poi il padrone del giardino si accorse che mancava una mela dall’albero ne voleva a cento per davanti, e si mise a vuciare: “Adamo, Adamo!” per discutersela tra masculi.
“Adamo, ta manciasti tu a mela?” chiese il padrone del giardino con tono arraggiato.
“Un mozzicone per gradire, Signore mio! C’eracaldoavevosetemisentivounpocoaddisiato e la mela era là, nelle mani lascive di Eva lasciva che pure i peli del naso ha lascivi. Ma se quella sdisangata di mia moglie non me l’avesse sventoliata sotto il naso facendomi acchianare lo spinno io mai mai mi sarei sognato di arrubbarti una mela a te, Signore mio. Io mele manco ne mangio, vado solo a papaya!”. La femmina non fiatò, ma se da quel giorno diventò ButtanaEva un motivo ci deve essere. Si era permessa di inventarsi una regola, e queste cose le brave femmine non le fanno. Le brave femmine tutelano l’onore e la gloria della vaginella data loro in dotazione, e subordinano la propria esistenza a quel triangolo di peluche che si ritrovano in mezzo alle cosce, divenuto totem per la Società della Minchia che lo venera e lo schifìa al contempo.
Le portatrici sane di vagina, se davvero ci tengono alla considerazione sociale, devono fare le brave e chiedere permesso prima di muovere un piede.
Le parole di Adamo dentro al giardino hanno fatto uno scruscio tremendo, una cosa che ancora ne sentiamo l’eco in ogni pertugio dell’universo creato. Eva è l’unica colpevole, Eva ha indotto il maschio in tentazione.
C’è una piccola Eva in ogni donna violentata perché aveva una gonna troppo corta, o un bel culo, o perché rideva da sola con le amiche a mezzanotte. Non si fa, piccola Eva, non si gioca senza regole. O con regole inventate da te, che è lo stesso di niente. Il permesso devi chiedere. Il permesso.
Grande marta! Mi è molto piaciuto!
Elegantemente “salace” al punto giusto : P
GeniA