Cinque piccole dita

Vi siete mai chiesti quand’è che ci si rende veramente conto di come va il mondo?
La perdita del disincanto infantile che spazza via i topini dei denti, i babbi natale, i vari angioletti e le puntate dei vostri cartoni preferiti… così, da un giorno all’altro, come fa il vento con le antenne paraboliche.

La perdita della visione di un mondo “perfetto”, fatto di mamma e di papà con il biberon in mano e nonne alla finestra (cit.); ma anche di mamma e papà, papà e papà, mamma e mamma, carrelli pieni, lavori stabili, affetti, “bimbi-di-tutto-il-mondo-felici”, “gattini-che-non-soffrono”, “buchi-dell’ozono-sconosciuti” …del “no-amore-non-è-un-gattino-schiacciato-è-un-peluche”.
Insomma, del giorno in cui ti svegli e chiedi a tuo padre: «Papà, come mai a noi non succede mai niente mentre la gente “viene sparata”?»
«Che intendi dire Marco?»

Palermo, 15 dicembre 1983

Piove. Continuo a passare la mano sul vetro appannato; le gocce di pioggia salgono su e giù attraverso l’etichetta color arancio delle sicure. La Ritmo bianca di mio padre sfreccia in silenzio sull’asfalto bagnato di una via Libertà buia. Un grande orologio digitale, circondato da palazzine che cozzano per stile ed architettura, mi abbaglia: segna le 21:45.

«Papà… che significa Sicil… SicilCassa?»
Intravedo l’autoradio verde attraverso i sedili; un cantante urla Coca-cola… piccolo-spazio-pubblicità.
Mio padre non risponde, preferisce improvvisarsi critico musicale.
«’Sto drogato di merda… non sarà mai nessuno»
Subito reguardito da mia madre: «Franco, i bambini!!!»
Poi, intravedo la mano di mia madre girare la manopola per cambiar canale: radiogiornale… e forse era meglio il drogato.

Napoli, Quartiere Siberia.
Parlano di un bambino di dieci anni, Luigi Cangiano, ucciso a Napoli durante una sparatoria tra polizia e spacciatori. Stava scappando insieme ad un vespaio di ragazzini che giocavano in strada, alle 21 di sera, con la sola compagnia di una falsa sicurezza di paese o di un quartiere popolare. In strada, a sparare botti per gioco, insieme ai suoi amici di strada, come me del resto, pochi anni dopo. Morto a soli dieci anni, sorpreso dalla sparatoria, da un proiettile allo stomaco. Il resto è un piccolo spazio di cronaca che verrà dimenticato dal tempo nella disperazione di un quartiere popolare come ce ne sono tanti.

Restai attonito, guardavo via Maqueda illuminata dalle luminarie… dagli “archi”, come li chiamavo io. Poi, sprazzi di cattedrale, strade come cicatrici e il Cassaro illuminato e deserto, mentre mia madre, sintonizzata ne “il mondo è meraviglioso”, continuava ad urlare con gioia: «Guardate come sono belli gli archi… tra un po’ è Natale!»
Ma mentre tutti gioivano, compreso mio fratello più piccolo con ancora il pannolino, io mi facevo la stessa identica domanda: come può morire un bambino di dieci anni? Me lo chiedevo e tutto ciò, per la prima volta in vita mia, mi faceva paura.

«Papà, ma i bambini muoiono?»
Mio padre non risponde.
«Papà, perché a noi non succede mai niente di brutto?»
Risponde mia madre, quasi angosciata, anzi forse anche un po’ incazzata per aver rotto l’incatesimo:
«Perché noi siamo persone buone, Marco… non può succederci nulla»

E mentre mio padre parcheggia l’auto nel cortile; mentre mi preparo a scendere da un’auto presa a cambiali e a salire le scale di una casa con il tetto che perde, lascio l’impronta di una piccola mano sul vetro, pensando a quel bambino con appena cinque anni più di me che non c’è più.
Chissà cosa aveva fatto di male, lui, a soli dieci anni.

Pochi giorni fa, anche mia figlia, vedendo un gommone pieno di profughi inserito in un video musicale, ha esclamato la sua preoccupazione sulla “bellezza” del mondo in cui viviamo:
«Papà, ma non ci salgono tutti…»
Ed a parte il magone che ti sale e trattieni, forse è davvero riduttivo rispondere con un “Lo so”. Sicuramente sempre meglio che cambiare canale, fare finta di niente, scappare o, come fece quella volta mia madre, alterare la realtà. Non è facile, credo che tra i ruoli più odiosi dei genitori vi è la spiegazione (o la presunzione di poter spiegare) il mondo di merda in cui viviamo; ci puoi provare, ma tanto sui “perché” poi ti blocchi.
Ma di quella sera ne ho ancora vivo il ricordo.
La scoperta di un mondo che non mi piaceva allora e mi piace meno ancora adesso.

Io ho provato comunque a spiegare che i profughi scappano dalla povertà, ma lei, a differenza mia alla sua età, ha continuato a ballare, e forse per adesso va bene così.

6 thoughts on “Cinque piccole dita

  1. E continua a farla ballare anche perché, con le parole incantevoli che usi nel descrivere viaggi esterni ed interni a te, avrai tempo per spiegarle bene come va veramente il mondo nell’attesa che lei lo scopra da sé, con accanto la sensibilita di un padre come te che forse non sempre potrà risolvere ma che di sicuro farà la differenza come quando scrivi. Sempre complimenti Marco!

  2. “Come fa il vento con le antenne paraboliche”… intravedo una leggera deformazione professionale :p
    Scherzi a parte, a costo di peccare di presunzione, posso dire di averti visto crescere sotto il profilo autoriale. Da Cuffie e Pannolini ad oggi il tuo stile si è notevolmente evoluto e ha assunto spessore. Sono davvero contenta del tuo esordio da macellaio! Ad maiora.

    • A dire il vero è il titolo di un nuovo libro… “Come il vento con le antenne paraboliche…” sà già di classifica ;P
      Pecca pecca pure di presunzione, anzi, ti prego di segnalarmi errori di sintassi o grammaticali. Voglio crescere, questa mia cosa che chiamo “scrittura” mi ha tenuto a galla nei momenti più bui. Se miglioro lo devo molto a persone che, come voi, mi hanno sempre spronato.

      Di come la scrittura mi abbia salvato ne parlerò nei prossimi post. :)
      Grazie!

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.