Lasciar correre. Ma perché?

di Gregory Di Giovanni

Il titolo fa riferimento ad uno stile di vita che riflette tantissimo il modo di fare dell’italiano medio e che è sintomo di poco riscatto sociale, di un volemose bene a tutti i costi e di un ‘sti cazzi a priori.
Un’indole che ci viene criticata in tutto il mondo, perché si traduce spesso in ok corruzione, ok precariato, ok a tutto ciò che non è diritto ma è solo un assecondare in silenzio i furbetti e gli arroganti. Nonostante ciò, a noi italiani non ci frega nulla di questa cosa e molti di noi si sentono feriti nell’orgoglio se qualcuno gli fa notare che questo modo di fare è sbagliato, oltre che controproducente.

Tanti anni fa all’esame di quinta liceo, il mio compito di italiano fu incentrato sul bipolarismo della chiesa Cattolica durante la seconda guerra mondiale. Portai a tesi di ciò documentazioni, esempi presi da libri di varie biblioteche, feci un compito accurato e lungo, con l’unico risultato di far infuriare una fervente cattolica commissaria esterna e la presidente di commissione, anch’essa cattolicissima. Seppi da dietro le quinte che per due giorni il mio compito fu motivo di acceso scontro in commissione, si azzannarono insegnanti di fazioni diverse e alla fine il mio voto fu pessimo. Vollero punirmi per un compito in cui, pur portando tesi documentate contrapposte, davo comunque un’immagine della chiesa Cattolica non edificante. E tanto volevano farmela pagare che oltre al brutto voto in italiano, mi avvisarono che mi avrebbero massacrato all’orale. Un ragazzino di diciotto anni non può capire del tutto cosa sia politica e cosa sia compiacenza, non può capire che i poteri forti mangiano i più deboli in un boccone e non può capire perché una commissione liceale che deve darti un voto di diploma che resterà per sempre può rovinarti solo per un’ideologia. Il succo è che alla fine il ragazzino in questione si è comportato come tutti gli italiani: va beh, lasciamo correre e un calcio all’ingiustizia.

All’università, dopo essermi preparato giorno e notte, week end inclusi, per l’esame di biologia, a fine orale, prima del voto, la professoressa mi disse: «Lei non ha mai partecipato alle mie lezioni, non l’ho mai vista!»
Inutile spiegarle che io ero sempre stato al secondo banco proprio davanti a lei; dovettero intromettersi i miei colleghi di allora per darle conferma della cosa, e dopo tale conferma le sue parole furono: «Io non la ricordo… Quindi le posso dare 24». Io rifiutai e mi ripresentai all’appello successivo. Non appena mi sedetti mi disse: «Io mi ricordo di lei: ha rifiutato il voto. Bene, adesso, visto che è stato tanto arrogante, le do 18».
Accettai. Perché? Meglio lasciar correre.

Questi sono solo due esempi, ma calzano a pennello per descrivere le vessazioni che viviamo anche sul lavoro, nella quotidianità, e il modo in cui accettiamo silenziosamente brutture e cambi di legge così, senza battere ciglio.
Vai a cena fuori e non ti fanno lo scontrino? ‘Sti cazzi.
Vieni a sapere di intrallazzi vari che portano soldi a pochi ma distruggono l’economia del Paese? Va beh, che ci vuoi fare? Tanto è così.
Fanno una legge come il Jobs Act in cui vengono distrutti i diritti dei lavoratori? Va beh, io vado a farmi l’aperitivo, tanto ormai hanno deciso e comunque ci sono altri che manifestano per me.
Peccato che in Francia, patria della RIVOLUZIONE, il popolo contrario alla legge sia in piazza da oltre un mese.

Questo nostro modo di essere e di fare è lo stesso che ci fa odiare nazioni “pignole” come la Svizzera o la Germania, nazioni in cui per 5 minuti di ritardo di un treno un macchinista si becca un richiamo scritto (in Italia col cazzo!).
Il nostro anti europeismo nasce dal sentirci inadeguati, sempre attaccati, non capiti, orgogliosi del nostro modo di essere, tanto da dire a gran voce: e ‘sti cazzi, noi siamo così!
Manca il senso civico, manca il vero orgoglio, il guizzo delle idee e della modernità, manca il VOLER MIGLIORARSI.

La crisi economica però ha colpito tutti e la rabbia sociale, in alcuni ambiti, sta modificando alcune prospettive, come le intenzioni di voto; tutto al fine di non subire impassibili le ingiustizie sociali ormai croniche.
Ma è davvero così? Basta davvero votare un “cinque stelle qualunque” per diventare paladini di un cambiamento di cultura?
La cosa avrebbe senso se questo fosse davvero il primo passo per un’evoluzione sociale, ma se il punto di arrivo è solo mandare a fanculo l’Europa, a quel punto è un prendersi in giro da soli.
L’italiano rifletta, l’arroganza non è mai una buona consigliera. Dobbiamo essere italiani che a testa alta denunciano e migliorano il proprio Paese, non italioti o itagliani che cercano a tutti i costi di far restare l’Italia a un palo.

3 thoughts on “Lasciar correre. Ma perché?

  1. Ottimi spunti di riflessione!
    Alle volte si lascia correre perché se dovessimo contestare tutte le ingiustizie che ci vengono fatte, a quest’ora probabilmente non avrei tempo di lasciare questo commento perché sarei in giro a sbattermi tra uffici vari per stare appresso alla burocrazia itaGliana, specchio di questo paese.

    Mia madre mi racconta sempre che quando andava alle scuole medie, una professoressa se ne uscì con una battuta infelice del tipo “avrebbe dovuto studiare invece di andare a fare la zoccola tutto il pomeriggio per le vie del centro!”. A quel punto mia madre le tirò sulla faccia il libro di geometria. Quell’anno venne bocciata, ovviamente, ma la professoressa venne licenziata. Mia madre si appellò all’ispettorato degli studi denunciando la cosa.

    Perché quando succede a noi non lo facciamo? E giuro che all’Università ne ho viste di ingiustizie… Forse, come scrivi tu, i poteri grandi mangiano quelli più deboli eccetera. Il problema fondamentale è che chi ci dovrebbe tutelare non lo fa. E intraprendere un’azione contro chi ci rema contro è lungo e dispendioso. E poi magari finisce che non ti laurei più!

  2. Quanta verità nelle tue parole, Gregory. Pare proprio un’indole innata la nostra, ma a me piace credere che non sia così e che lentamente riusciremo a cambiare le menti e le abitudini che popolano il nostro bel paese. È questione di prendere consapevolezza del nostro grado di arretratezza rispetto a qualsiasi altro paese europeo, capire quanto i nostri atteggiamenti siano deleteri e controproducenti per noi e per gli altri. Questo è il regalo più grande che dovremmo farci

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