Mi chiamavo Andrea Calì

Quando lo rivide, divenne pallido quasi a perdere conoscenza. Era giorno, e fuori il tram annunciava il suo passaggio sferragliando sui binari. Fece appena in tempo a reggersi sulla vecchia sedia che era solito piazzare davanti le persiane. Poi, scaldato dalle palpitazioni, raccolto un po’ di coraggio, disse:
– E quindi, ditemi, cos’è che volete da me? Perché continuate a tormentarmi se vostro adesso è il regno dei cieli?
L’ospite si guardò attorno; poi, guardando un piccolo altarino sopra il comò del padrone di casa, con un pizzico di malinconia ed una voce che avrebbe commosso il più sanguinario dei mercenari rispose:
– Perdonatemi, ma qui, intorno a queste mura, ove odo ad ogni ora del giorno e della notte vossia e i vostri cari, i treni partire dai binari, il traffico, il tedio, ed il respiro profondo di questa città, c’è rimasta una piccola aiuola che mi appartiene, resa indecente da chi, di notte, ricerca il surrogato di quello che viene chiamato amore; stracci e “cappottini inglesi” di coiti e altre immonde lordure infestano la mia memoria ed io non ne ho pace.

Il padrone di casa, prendendo aria nei polmoni e accarezzandosi l’alta stempiatura, continuava a non capire: da qualche settimana quella presenza evanescente aveva turbato i suoi primi sessant’anni e si riteneva ormai troppo vecchio per questo genere di novità. Il fantasma gli aveva smosso le coronarie e il sistema nervoso, in famiglia era diventato silenzioso, trascinandosi dietro quel pallore tipico di chi comincia a perdere lucidità; credeva di esser diventato pazzo e avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di togliersi quella presenza dal suo pian terreno.
– E sia, ma non crediate che resti così a lungo. Qui è tutto dovuto. C’è chi sporca convinto che ci sarà comunque qualcuno pagato per pulire: senza rispetto, senza alcun amor proprio. Fino a qualche anno fa, le sere d’estate, ci si metteva a chiacchierare in mezzo al marciapiedi con i Venturella, i Prestigiacomo, ci scappavano uno-due dita di vino, qualche semenza e allora mia moglie, la mattina, si metteva a stricare il marciapiedi: bello, pulito e assistimato. Ma adesso andiamo a letto presto, mia moglie soffre di sciatica e non si smuove più dalla sua tv… La vita non è più quella di una volta… pazienza… però mi togliete una curiosità? Come mai ci tenete tanto a ‘sto pezzo di terra qua? Chi siete? Cosa vi è successo?
– Credo di aver pestato i piedi a qualche potente: una mattina sono uscito di casa, ho salutato mia moglie, le mie tre figlie e non sono più rientrato… le amavo tanto sa? Al tramonto, prima dell’Ave Maria, mentre attraversavo il ponte ammiraglio, sentii un bruciore al fianco che mi fece mancare l’aria: vidi il sangue e prima ancora di capire mi arrestarono per poi decapitarmi e buttare il resto del mio corpo dentro una botola insieme a tanti altri; la mia testa poi venne esposta dentro una teca di vetro a monito per tutto il popolo palermitano. Ad ogni modo, adesso non ha più importanza, di quelli come me nessuno ne ha più notizia, nessuno sa come mi chiamavo, cosa facevo, né tantomeno quali siano state le motivazioni di tale crudeltà. C’era una sorta di registro dentro la chiesa, ma questo fiume qui, o quel che ne resta, che ci crediate o meno, nel novembre del 1881, dopo giorni di pioggia, si è portato via registri, corpi e testimonianze negli abissi del porto.
Ci chiamano “le anime decollate”, molti vengono a pregare dentro la chiesetta omonima che avete qui a fianco perché sperano in qualche intercessione… fa piacere, per carità, ma almeno io, personalmente, non ho mai aiutato nessuno… anzi sono io che adesso vi chiedo questa grazia. Fatemi il piacere, pulite tutto e piantate qualche fiore in ricordo mio e della mia famiglia, e ricordatemi, vi giuro che poi vi lascerò in pace.
Mi chiamavo Andrea Calì.

Fino al 2015, nel piazzale dove era ubicato il cimitero delle “anime decollate” dell’omonima chiesa di via Decollati a Palermo (S.Maria del Carmelo) a pochi metri dal ponte ammiraglio, era presente un cippo funerario dove venivano esposte le teste dei “decollati” a cui i palermitani particolarmente devoti, negli anni a seguire, lasciavano un fiore chiedendo grazie.
Da qualche tempo è stato rimosso, e con esso, la memoria delle anime decollate.

Questa storia è un omaggio a chi non ha memoria, a chi dimentica, a chi non è mai esistito.

9 thoughts on “Mi chiamavo Andrea Calì

    • Non doveva essere piacevole passeggiare per Palermo durante l’inquisizione. E la storia, purtroppo, si ripete. Grazie Cri :*

  1. Terribile non conoscere questa storia e quindi grazie.
    La memoria è ciò che dà continuità alla vita individuale e collettiva… Il postmoderno ha poca, nulla, memoria. Chi non ha memoria è un uomo a metà, come le civiltà senza memoria sono le più pericolose (es. banale: Germania nazista!)…
    Qui delle immagini per recuperare: https://ninobadalamenti.wordpress.com/2014/12/22/le-anime-dei-corpi-decollati-e-il-ponte-teste-mozze/ . Grazie dello stimolo e del ri-cordo in dono, Marco!

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