Time #2 – Il Tempo Capitalistico

“Subito”, “ora”, “immediatamente”, “in un attimo!”, “istantaneo”, “presto”, “veloce”, “pronto”, “rapido”, “celere”, “in poco tempo”, “adesso”, “in breve”, “tra poco”, “attualmente”… In poche parole l’oggi, sede di una temporalità in cui “ciò che conta è la velocità”; una civiltà del “non ho tempo”, della “sindrome da scarsità di tempo” (Muscelli C., Stanghellini G., 2012), in cui – paradosso! – si passano ore e ore sui social, ma in cui può essere vissuto solo ciò che è istantaneo come il Nescafé. Una velocità che è però fine a se stessa, svincolata da ogni finalità esistenziale (ibidem), e che tuttavia è divenuta una virtù sociale e morale (ibidem) poiché “consente di raggiungere meglio, cioè prima, gli obiettivi del progresso” (ibidem). Ed in cui, non a caso, ciò che ha a che fare col “dopo”, “lento”, “piano”, “adagio”, “dare tempo al tempo”, “in seguito”, “piú tardi”, “dopo”, “domani” (o “in futuro”), “ieri” (o “in passato”), “prima”, “poi”, “porta pazienza”, “aspetta!”, ha a che fare con messaggi che depotenziano, sminuiscono, declassano, e dunque con una perdita di valore della propria esistenza, della propria identità e in definitiva di se stessi. Che non è ciò che vogliamo. 

Cosa dichiariamo di volere, dunque, ogni volta che l’accettiamo l’attuale temporalità? Forse, come scrivono Muscelli e Stanghellini (2012), ambiamo ad essere “macchine multitasking” per rispondere al bisogno illusorio-onnipotente e anti-ansiogeno “di essere contemporanei a tutti gli eventi” (ibidem).
Ma “cos’è al principio questo pensiero illusorio di dover fare tutto e simultaneamente per potersi sentire e ritenere ‘funzionanti’?” (ibidem). E soprattutto, di chi è davvero questo “nuovo” tempo? A chi appartiene? Da quali orologi è scandito? Chi li ha settati? E l’essere umano come vive l’attuale temporalità? Qual è l’heideggeriano esser-ci in un contesto in cui il liberismo ha oltrepassato i confini economici e politici per invadere l’orizzonte etico, psichico, corporeo, politico, architettonico, relazionale, temporale, etc., etc., etc.?

Mi chiedo come siamo arrivati a questo. Trovo risposte interiori e teoriche dentro una concetto di tempo capitalistico che rappresenta, in realtà, la perversione del tempo soggettivo. Un tempo senza limiti, padre e figlio di un “capitalismo divino” (Franchini S., 2011) che non si ferma mai come un Dio che mai riposa, in cui a spadroneggiare è il tempo della corsa, del far quadrare tutto, dello stare sul pezzo per non tardare. Un tempo che cronometra senza sosta appuntamenti, scadenze, doveri; in cui anche i piaceri sono così parcellizzati e scanditi da diventare doveri. Il tempo degli orologi sporchi appesi sulle piazze delle città, in luoghi che piazze non sono più, ma solo snodi di traffico in cui affrettarsi.

Ancora, mi chiedo, auto-osservandomi e osservando l’Altro, dove siano finiti, in mezzo a tale e cotanto capital-ismo, l’uomo e la sua lentezza fallibile. La risposta sta sullo stomaco, su cui premono gli imperativi categorici dell’autonomia, dell’essere all’altezza, iperformati, performativi esteticamente ed intellettualmente, flessibili, competitivi, empowerizzati e in continuo delirio da spostamento pur di essere imprenditori di se stessi (Lo Piccolo C., in Cavaleri S., Lo Piccolo C., Ruvolo G., 2016). Viviamo nell’epoca dei turbo-consumatori, della gadgettizzazione della vita, del culto narcisistico dell’Io e della spinta compulsiva al godimento immediato (Recalcati M., 2010); inseguiamo il successo, spaventati ed annichiliti dalla possibilità del fallimento; ci muoviamo all’interno di un tempo delirante e accelerato, in cui è difficile fermarsi e ricercare il proprio senso di essere (ibidem). In cui “le preoccupazioni più acute e ostinate che l’affliggono nascono dal timore di esser colti alla sprovvista, di non riuscire a tenere il passo di avvenimenti che si muovono velocemente, di rimanere indietro, di non accorgersi delle ‘date di scadenza’, di appesantirsi con il possesso di qualcosa che non è più desiderabile, di perdere il momento in cui occorre voltare pagina prima di superare il punto di non ritorno” (Bauman Z., 2005).

Queste le ricadute di un capitalismo assoluto totalitario il cui tempo non è quello dell’uomo, ma quello necessario all’estrazione di valore dagli esseri umani 1 (Gallino L., 2011), intesi come beni in scadenza “da consumarsi preferibilmente entro il” – proprio come i biscotti sugli scaffali dei supermercati! -, piuttosto che come persone. E il tempo è una componente essenziale di tale capitalismo militare-sociale, in cui l’importante è trovare le soluzioni migliori nel minor tempo possibile (Sennett R., 2006); e in cui, al contrario, la lentezza e la stabilità sono considerate segno di debolezza. Dicono (Sennett R., 2011) che mai, prima d’ora, l’economia abbia assunto un significato esistenziale così pregnante, centrale, protagonistico nella vita dell’homo erectus. Non saprei se è vero, giacché vivo solo da 33 anni, ma mi par che effettivamente l’essenza del capitalismo, mera esecuzione senza riposo di riti (Franchini S., 2011) che millanta libertà e liberalismo, sia in realtà antagonista di quel tempo del soggetto che esige pensiero …laddove ciò che manca oggi è proprio il tempo per pensare!
Penso su questo ai negozi H24, aperti in tutta Europa 24 ore su 24, appunto, e forse testimoni e attori insieme di un’inversione dei ritmi di vita che non conosce più regole né orologi personali, se non quelli dell’istituzione capitalistica, ovvero del tutto e subito, del nulla ci fermerà, dell’Andiamo a comandare e ogni volta che ci va. …Non so, oltre al link del testo di questa cantilenicchia geniale non aggiungerei altro, se non che, in fondo, potrebbe (…dico “potrebbe”) essere esemplificativa di tutta questa pappardella sul contemporaneo.

1 Dalla quarta: “Il finanzcapitalismo è una mega-macchina creata con lo scopo di massimizzare il valore estraibile sia dagli esseri umani sia dagli ecosistemi” (Gallino L., 2011).

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Bauman Z. (2005), Vita Liquida, Editori Laterza, Roma-Bari.
Cavaleri S., Lo Piccolo C., Ruvolo G. (a cura di) (2016), L'inutile fatica. Soggettività e disagio psichico nell'ethos capitalistico contemporaneo, Mimesis Edizioni, Milano-Udine.
Gallino L. (2011), Finanzcapitalismo. La civiltà del denaro in crisi, Einaudi, Milano.
Franchini, S. (a cura di) (2011). Il capitalismo divino. Colloquio su denaro, consumo, arte e distruzione. Mimesis-Edizioni, Milano-Udine.
Muscelli C., Stanghellini G. (2012), Istantaneità. Cultura e psicopatologia della temporalità contemporanea, Franco Angeli, Milano.
Recalcati M. (2010), L'uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicoanalitica, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Sennett R. (2001), L'uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Feltrinelli, Milano.
Sennett R. (2006), La cultura del nuovo capitalismo, Il Mulino, Bologna.

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