Idiosincrasia per le peripatetiche

di Lucia Immordino

Sua mamma fu del mestiere: per anni lo fece finché poté e appena attaccava a lavorare lo lasciava da una vicina di casa.
Lui mangiava il suo cicarone di latte disteso su un divano preso dalla strada abbandonato vicino a un cassonetto della spazzatura e, mentre guardava la televisione, a poco a poco si disponeva al sonno.

Era un bravo picciriddru: non era a conoscenza a quell’età del mestiere di sua madre, sapeva solo che lei iniziava a lavorare di sera e finiva con le mattinate.
Lui non domandava né lei chiariva: non c’era nulla da precisare, e ai carusi della scuola che masticavano battutine e sputavano allusioni, lui faceva spallucce, non sapeva neanche a cosa si riferissero quelli lì.
Sua madre le pulizie faceva!

Certo, i problemi ebbero inizio quando cominciò a crescere e a capire: principiarono le sciarre con la madre e con la vicina di casa che, si può dire, lo aveva allevato fino ad allora come un figlio ché lei vedova era e con uno che ne ebbe la mafia glielo ammazzò insieme al marito.
Buttana la madre per mestiere e buttana la vicina perché ruffiana della madre.

Finite le scuole medie, che attraversò incazzato come un Caino, con dispersione scolastica a tignité, spaccio di robba e vendita di rami di ulivo e palmizi, quelli tutti intrecciati, all’uscita della Chiesa nelle domeniche delle Palme, non gli parse l’ora che se ne andò.
S’imbarcò e non scese più dalla nave fino a quando non divenne omo fatto.
Imparò a tenere bene la scopa: era divenuto, per onesto lavoro, addetto alle pulizie della nave.
L’aveva capito che il restare lo avrebbe reso manovalanza della mafia, di Cosa Nostra, l’aveva capito che non aveva la stoffa per fare il delinquente e che solo morto ammazzato poteva finire, invece lui voleva essere una persona perbene, un lavoratore irreprensibile.

Un giorno si decise, scese dalla nave e andò a fare un giro nel posto dove era nato e cresciuto fino a sedici anni: sua madre non c’era più, trovò la vicina, invecchiata, sporca e rimbambita.
Non lo riconobbe nemmeno.
Era quasi sera e le vide: giovani ragazze, belle, importate dalla malavita.
Lì il tempo si era fermato a quando lui aveva sei anni.
Pensò ppi bbabbio, mentre sorrideva per sopravvivenza: “Quando scovgo le pevipatetiche divento idiosincvatico”.
Era una frase che aveva sentito dire a un riccone, minchione, smidollato con la erre moscia e dalla quale rimase così impressionato da ricercare il significato di ogni singola parola.
Ogni tanto, quando gli acchiappavano i cinque minuti, la pensava solamente o la declamava ad alta voce e, in quel caso, per quei cinque minuti, diventava smidollato e minchione macari lui.

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