Edonismo

di Dora Pistillo

 

Dottrina morale secondo la quale il fine di ogni azione umana è, e non può non essere, il piacere che essa procura a chi la compie. In senso generale, l’edonismo si contrappone quindi ad ogni teoria che veda nella volontà morale la tendenza a un fine (virtù, obbedienza disinteressata a una legge) nettamente distinto, o addirittura contrapposto (come nella più tipica negazione dell’edonismo, e cioè nel rigorismo kantiano), a quello della propria soddisfazione, sia questa intesa in senso strettamente egoistico, o anche in senso altruistico […] l’edonismo propriamente detto considera l’azione nella sua puntuale presenza, e non sa ivi giustificarla se non in forza dell’attuale percezione di un valore pratico positivo, nel senso più elementare. Momento per momento, non si fa se non ciò che immediatamente piace. Edonismo propriamente detto non è con ciò neppur quello di Epicuro, ma, se mai, solo quello dei Cirenaici, e anzi a rigore solo quello del fondatore di questa scuola, Aristippo. […] la sua dottrina, onde l’azione si spiegava solo in funzione dell’attiva ed effettiva sensazione di piacere (ἡδονὴ ἐν κινήσει, voluptas in motu) generantesi nel suo stesso istante. […] Posta l’immediata esperienza del piacere come essenziale e imprescindibile, doveva diventare assurda la stessa esperienza del dolore: o essa appariva, almeno, come negazione di ogni motivo di volontà, fallimento radicale della pratica. […]

Ecco, detta così sembra difficile… ma presto arriva il meglio. Horace Silver (a molti forse, oggi, questo nome non dice nulla) introduce brevemente ed esegue con la sua compagine (non a caso vien fuori questo termine) un brano dal titolo, pur nella sua asciuttezza, un po’ sentimentale.
Non so voi, la faccia sorridente, vagamente stropicciata – come di chi ha dormito poco per esercitarsi in qualcosa di buono – mi dice a pelle che siamo sulle stesse “corde”. Il che mi rende una commentatrice di parte. Conoscevo il brano e mi piaceva – forse lo riconoscete in qualche spot pubblicitario – si presta: ha brio, ma anche eleganza, rigore e bilanciamento. Insomma, è sexy. È uno di quei tasselli che indica in che direzione muoversi. E spiega come è giusto comportarsi nelle cose della vita, ovvero respirando a fondo.

Noto l’aspetto appena scarmigliato – malgrado la cravatta e la giacca coi revers (forse un po’ sgualcita, abbondante e cadente alle spalle) – accompagnato da uno sguardo leggermente inquieto, di quell’inquietudine che hanno i ragazzi brillanti che sanno impegnarsi con onestà, disciplina e leggerezza in ciò che amano, e tutto ciò suggerisce che vale la pena aspettare la conclusione. Brasile e musica popolare capoverdiana. Insomma, ci vuole un buon motivo per sciropparsi un video di 19 minuti con il suo ritmo e il respiro di queste due definizioni (un respiro che pur mescolandosi resiste alle influenze culturali). Perché il modo in cui respiriamo dice di noi se siamo più vivi o piú morti, se siamo pronti ad aprirci allo spirito ed accoglierlo oppure no, se vibriamo integralmente per essere un tutt’uno col cosmo o se siamo impiegati per lasciarci usare senza godere del meglio della vita.

Le dita straordinariamente asciutte, affusolate, calme ed esperte sulla tastiera confermano che nulla è lasciato al caso e che il ragazzo sa dove vuole andare a parare. Quindi ascoltate bene, perché davvero ha studiato, e ricordate di respirare profondamente e pienamente. Si è scritto compagine: osservate i musicisti che completano il quadro. Sono in perfetta sintonia, “sentono” la composizione, l’hanno interiorizzata e la cosa diventa più evidente quando il ritmo e l’evoluzione del pezzo li costringono a svelare croce e delizia dell’essere musicisti jazz. Osservate l’inclinazione del loro sguardo, la fronte corrugata sopra gli occhiali nel calcolo del tempo che non si ferma, nell’attesa meditata. Le smorfie impresentabili e incontenibili di Silver, la ginnastica trattenuta, con forza, delle dita e degli arti, roba che fa grondare di sudore.

I musicisti, ognuno a modo proprio e ognuno col proprio tempo, sono partecipati dal ritmo che stanno producendo. È una gran cosa che qualcuno abbia trovato tanto piacevole il lavoro di Silver da decidere (nell’ormai lontano 1968) di registrare l’esecuzione del brano. Ed è una gran cosa che a distanza di tempo sia condiviso questo reperto, così come lo è poter essere lì, proprio lì, se non fisicamente, con le orecchie, con gli occhi ed empatizzare con chi prova piacere in quel che fa.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.