SULL’IMPOSSIBILITA’ DI ESSER PAZIENTI – Impressioni da un SSN che ammala

Sì, parliamo di paradossi interni, e in particolare parliamo di quell’istituzione che nasce per curare, per prendersi cura, altresì detta “Sistema Sanitario Nazionale”. Esso, in sintesi, prevede(rebbe) un Padre Stato che – attraverso l’assunzione di professionisti competenti messi in condizioni idonee a curare – spende tempo, attenzione e denaro pubblico per occuparsi della salute dei suoi figli-cittadini, col fine di garantirla ed implementarla.

Ma in Italia e nelle nostre piccole vite, al momento, come stanno andando le cose?
Senza alcuna presunzione di avere risposte esaustive, vi parlerò di impressioni.

  • Le prime da curante (la mia attività professionale, infatti, coincide a tutti gli effetti con una prestazione sanitaria): Finché ne ero ben informata, gli psicologi di base non esistevano, gli studi convenzionati giammai e negli ospedali pubblici c’era, se andava bene, un collega strutturato affiancato da qualche tirocinante o collega a tempo determinato (indi di passaggio); nei centri territoriali c’era forse un collega in più – spesso giovane e che darebbe l’anima in pasto al burn-out pur di lavorare -, ma in ogni caso le liste per una psicoterapia pubblica traboccavano al punto che: (a) spesso era impossibile accedervi; (b) le prestazioni erano dilazionate nel tempo, quindi né continue, né ben cadenzate (invece una buona frequenza è fondamentale nel nostro ambito di cura); (c) quasi sempre i percorsi erano a breve termine, indifferentemente dal problema reale e dal bisogno del paziente (cosa che quindi non sempre garantisce l’efficacia della prestazione sanitaria!). Inoltre, spesso, finché ne ero informata io, la nostra “specie” curante era messa in condizione di non lavorare o di lavorare male: precarietà, assenza di spazi idonei ad accogliere (in ambito pubblico, ho svolto sedute di psicoterapia in stanze di 4 metri quadri o in stanzoni con dentro mobili accatastati e polvere volante), no bandi e no limpidi concorsi, e non esisteva una cultura né una fiducia istituzionale nei nostri confronti (spesso mi si diceva di non fermarmi “troppo” con i “pazienti”…). Ma magari funziona(va) così (male) solo nell’ambito della mia professione… Per parte nostra, tengo a dire che, chi di noi ha un’etica della cura e tiene a garantire l’accessibilità delle cure, fa il funambolo tra una tassa e l’altra per riuscire a tenere basse le tariffe e aderire a progetti di psicoterapia popolare e solidale; tutto ciò seguendo la propria coscienza, mentre i nostri “capi statali” provano a tassarci ANCHE se possediamo un pos o usufruiamo di campagne pubblicitarie on line (notizie fresche di 2024).
  • Le seconde da paziente: Avere un dialogo con un medico curante è l’anticamera dell’inferno o dei manicomi, che in realtà hanno chiuso proprio per traslocare negli studi di medicina generale. E non mi riferisco all’utenza, ma proprio a loro: ai medici generici! Non so cosa pensarne, credetemi. I miei pazienti medici mi fanno tenerezza per tutti i vincoli, gli ingombri e le pretese burocratiche cui sono sottomessi, oltre ovviamente ad avere a che fare con una utenza non sempre “civica”. I miei medici generici, per converso, mi generano distress. Difatti, non solo mi urlano in faccia il loro disagio (vedi discussioni col mio ex medico curante), ma spesso mi chiedono aiuto (questo invece è il mio attuale medico) e poi, quando ho bisogno di loro come professionisti, mi provocano stati nervosi che si aggiungono ovviamente ai motivi della consultazione. Recentemente, una chiamata col mio medico si è trasformata in un grido d’allarme dall’altro lato della cornetta: “Tuttiiiiii!!! Lo devono sapere tuttiiii qual è la situazioneeeee! Che siamo troppo pochi, non assumono, siamo strapieni, vessati e i miei figli stanno crescendo senza un padreeeeeeeeee…”. La chiamata successiva prevedeva una filippica sull’impossibilità di prescrivere dei farmaci ad uso cronico senza aver rifatto un esame; esame che avrei anche svolto, ma che lui non poteva prescrivermi perché mancava la diagnosi recente dello specialista, il quale mi aveva prescritto questi esami da portare giusto per il controllo successivo (che sarebbe avvenuto a breve)… E’ un po’ intrecciato e assurdo, ma in sintesi: niente farmaco col ticket in attesa di un esame che serve per la visita, quindi che non è stato ancora prescritto dello specialista, quindi niente esame col ticket perché prima viene la visita e poi l’esame, quindi vado 2 volte a visita privatamente (ovviamente nel pubblico le liste per le prenotazioni erano chiuse da mo’): una prima e una dopo l’esame (ergo pago 2 volte e accumulo in più non 1, ma 2 giorni di lavoro in meno); intanto sono rimasta senza farmaco (a meno di acquistarlo senza ticket!). Insomma pagare e sorridere, alla faccia del sistema sanitario curante e garantista. Senza contare poi il trend che prevede la prescrizione di integratori, così di moda oggi, ma forse anche di grande interesse per quelle lobby farmaceutiche che implementano i loro guadagni allungando la cura ( = la nostra spesa): prima l’integratorino che in buona parte dei casi non farà quasi nulla, poi il farmachino. Per non aggiungere nulla sull’assenza di rete e di comunicazione tra colleghi, che demandano al paziente il dispaccio di messaggi, avvertenze cliniche, prescrizioni, etc. …Insomma, un giro giro tondo folle in cui la cura perde, la burocrazia vince e giustamente il medico generico è sempre più solo un burocrate che invia altrove e che non sa più diagnosticare una cippa o prescrivere una ricetta. Qualche mattina fa, alle 8:30, il mio mi ha chiamato inviperito dopo che gli avevo pacificamente comunicato che aveva sbagliato la prescrizione in ricetta e che avevo bisogno di quella giusta… “E ora mi multano e questo lo pago iooooooo”: un demonio – o meglio: un povero diavolo – già alle 8:30 del mattino, con una paziente che necessita di un farmaco cronico e che ha speso soldi che nessuno le restituirà (il farmacista si era rifiutato di annullare l’operazione). Alla fine bisognerà davvero riaprire i manicomi per medici, utenti e pazienti-giustamente-impazienti e mandare a fanculo il concetto di cura. E’ realistico!
  • Le terze per sentito dire: Sento non di visite accurate, ma di continue liti coi propri medici di base (che dovrebbero essere la nostra BASE sicura per una buona cura, quindi). Sento di medicina difensiva che si tutela invece di curare. Sento di finti corsi per l’Educazione Medica Continua in cui l’importante è vendere/acquistare crediti. Sento di concorsi truccati e di siti in cui paghi per essere sponsorizzato come curante (lì dove giochi con la vita delle persone, basta pagare per lavorare…), in cui vendono recensioni positive finte ed evitano di divulgare quelle critiche (basta sempre che paghi!). Sono stata paziente di medici che non mi hanno mai parlato dei forti effetti collaterali di costosissimi farmaci e costosissime cura propostemi (e non era un problema di timidezza, se al momento di chiedere il bonifico tiravano fuori la lingua e muovevano le labbra!). Sento di pazienti che hanno il doppio medico, ovvero uno pubblico (introvabile, esaurito e scarso) che ti appioppa lo Stato e uno privato (bravissimo, disponibile e carissimo). Sento di medici pubblici che, per respirare, nel tempo libero esercitano privatamente. E vengo da una storia triste in cui l’incompetenza e la necessità di liberare un letto in ospedale mi hanno probabilmente reso orfana di madre.

Insomma, da vari punti di vista non so cosa pensare.
Si tratta di un sistema che non vede più il paziente (che, ricordiamo, è per definizione “colui che soffre”). Un sistema che, invece di curare, aggredisce e fa sentire sbagliati. Che crea patologia laddove dovrebbe risanare. Che fa star male ove avrebbe il mandato di coltivare il BEN-ESSERE.
In nessun modo mi sento tutelata e curata!

Come faremo?
La pazienza dei pazienti si sta esaurendo
e temo che, a breve, potrà permettersi le cure solo una fascia ristretta (e benestante) di cittadini, perché solo alcuni professionisti riescono a lavorare bene: non quelli che sono ricettacolo di like e narcisismi espositivi, né forse quelli che sgomitano e lottano nella miseria della sanità pubblica; ma quei pochi che, in mezzo a tutto questo, hanno avuto la cura di crearsi una competenza e un’etica e il culo di salvarsi dallo shitstorm e del burn-out. …Cura crea cura, e ce n’è troppo poca in giro…

Non basta più constatare che siamo alla frutta.
L’assenza di un pensiero curante ci toglierà la cura, e anche la frutta!

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