Essere madre oggi #9 – Mio figlio


Mio figlio è il sole: lui si sveglia e ci sorride, ci chiama a sé con gli urletti e i rummulii, noi spuntiamo e lui sorride, organizza le nostre giornate col sorriso, ha la cacchina nel pannetto e, ciò nonostante, il più delle volte sorride, sta nudo ed è entusiasta, lo metto nel fasciatoio per cambiarlo e grida di gioia, ti guarda negli occhi e si scioglie di tenerezza tendendo le labbra, apre la bocca per mangiare e, tra una ciucciata&l’altra e una tettina&l’altra, inarca le labbra per dirti che sì: è felice.

Lui ha un dono: sa bene che il nutrimento viene dalla relazione, dalle coccole, dalla capacità dei suoi cari e caregiver di rispondere ai suoi sorrisi e di proporglieli a loro volta. Non si perde in chiacchiere: pappa e relazioni amorose; ma anche la pappa viene dalla relazione, quindi in effetti non si perde in chiacchiere proprio per nulla: vita = amore.
Questo gli basta.
Lui sa poco di quanto poco sia così nella vita degli adulti. Sa poco o nulla di quanto poi questi sorrisi si perdano e addirittura spesso si perda la capacità di sorridere per l’amore che si ha per l’altro, di sorridere all’altro e di sorridere per la gioia di stare insieme.
Direte voi: è perché, crescendo, i bisogni umani diventano più complessi. Vero. Ma non credo sia tutto qui. Chi si intende di biopolitica sa meglio di me come i bisogni umani possano essere indotti e come si possa manipolare l’emozione e la sua sperimentazione, inducendo alterazioni nella capacità di esperire piacere dal semplice e dall’Altro (A maiuscola).

Se, come ad esempio “grazie” al Covid e alle guerre e alle notizie di violenza dilagante, l’altro (a minuscola) diviene nemico o fonte di paura e di pericolo, perché mai sarebbe sensato rimanere come il mio piccolo Noah, innamorato delle relazioni? Meglio sviluppare gli scagghiuni e pensare sempre che le relazioni facciano male, che la cosa migliore per preservarsi è restare hikkikomori nell’anima o narcisisti maligni che ce l’hanno sempre vinta inducendo male.

Vero: l’aggressività è filogenetica, ma non è un istinto maligno fine a se stesso; ha a che fare con tante cose di sopravvivenza, anche con l’accoppiamento: ad+gredior significa infatti “solo” “avvicinarsi a, andare verso l’altro”.

Cosa può insegnarci il mio piccolo Noah allora?
Forse che l’idea che l’altro (a minuscola) è nemico o fonte di paura e di pericolo, come ad esempio “grazie” al Covid e alle guerre e alle notizie di violenza dilagante, è indotta. E che è indotta per un qualche motivo; forse darwiniano, se vogliamo, ok; ma è indotta. E che questa induzione riesce davvero bene: viviamo una patologizzazione della capacità di stare insieme o, in alternativa, una sua frattura (scomposta e multipla). Un esempio: i miei pazienti sono spesso atterriti dall’entrare in un gruppo terapeutico. Poi, però, con forte stupore, lì riprendono gradualmente a notare che l’Altro (A maiuscola) può curare, oltre che ammalare, e che è ancora possibile vivere “intimità”, esprimere se stessi senza compiacere e senza distruggere o essere distrutti, stare insieme senza altri fini che non sia la cura reciproca. E quanta meraviglia quando se ne accorgono…! Seppur dopo fatiche immense, dopo essersi sentiti in colpa perché hanno detto qualcosa o feriti per aver avuto poco spazio o per essersi sentiti (inesattamente) criticati e giudicati, cotanta è l’abitudine a pensare che l’altro (minuscolo) distrugga invece che il dialogo con l’Altro (maiuscolo) sia un incontro tra pensieri divergenti che possono sostenersi e arricchirsi a vicenda, seppur diversi.

Mio figlio, quindi, è un sole.
I suoi mille e più sorrisi contengono tutto questo e la speranza di un mondo migliore per il quale essere migliori. Non mi sto illudendo, no. Sto solo dicendo che la purezza affamata e innamorata di un neonatino può guidare una persona dotata di un pizzico di pensiero etico a deporre armi, a rallentare tempi, a “decrescere” lì dove il concetto capitalistico di “crescita” è oggi ammalato/ammalante (poiché solo narcisisticamente e consumisticamente gratificante). Può indicare a una persona come costruire la sua vita, indicare, ad esempio, il valore del non controllo, del qui e ora, del fare senza strafare; il valore dello scegliere per lui e per sé con responsabilità costruttiva, a volta del perdere per non straperdere imbruttendosi, lasciandogli in eredità brutture e orrori familiari e collettivi; il valore dei fiori e delle coccole e dello stare insieme, della curiosità dietro ogni cosa ed ogni incontro (non solo dietro ogni oggetto, poiché l’oggetto acquista un valore solo se presentato con amore e gioia).

Vi dicevo che è un sole, e vi assicuro che questo lo pensavo prima del video di Brunori S.a.s. in cui la piccola-sole organizza intorno a sé il mondo degli astri. Quello ha fornito la diffusione di qualcosa che, se vuoi e se sei pronto, avviene: io, terra o luna o asteroide, mi arrendo a lui, al suo amore enorme per me e al mio per lui e per questo scelgo di essere una brava persona, migliore; per questo scelgo ogni giorno meno i soldi e più il cuore, meno la rabbia e più le carezze, meno il consumo e più il bagnetto felice e le urla da fasciatoio festoso, meno i filler e più tempo lento insieme.
Lui sa e contiene, senza saperlo concettualizzare, ciò che è vitale.
Come un luminoso sole, può illuminare e vitalizzare l’universo intero, anche se – di questo passo e proprio come una buona stella non sufficientemente adatta a un ambiente malevolo che seleziona chi è più adattato a un tipo di mondo periglioso – a un certo punto e di questo passo si estinguerà…

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