Mens Oeconomica (si) fotte allegramente Mens Pinna

Io amo viaggiare; e in ogni viaggio – si sa – ci sono cose che non si dimenticano.
Tutto mi si presentò alla mente e agli occhi il 30 agosto 2008. Tappa: San Giovanni Rotondo.
Scendendo dalla car dopo qualcosa come 806 chilometri, la sottoscritta, estenuata e allucinata, si trovò davanti una sorta di massa più alta di sé, ma soprattutto di tutti i presenti. Aggiustati gli occhiali, Essa continuava a persistere ed insistere lì davanti: esisteva, purtroppo. Poco importa che la cosa fosse una inutile statua di Padre Pio a grandezza naturale e gobbuta.
Poco importa che la suddetta costasse 900 euri e che qualcuno l’abbia sicuramente comprata, visto che ne esponevano in quantità industriali in una sola, uggiosa, cittadella inerpicata tra i monti di Heidi, ché financo i ciclisti in giallo coi polpaccioni si spingevano sudaticci l’un l’altro per arrivarci vivi.
Poco importa anche che le multiformi statue fossero più degli abitanti del paesello e che i commercianti di statue fossero più delle statue.

Quello che nel lontano 2008 ha profondamente violentato il mio precario sistema nervoso è l’idea che la mente umana abbia potuto concepire Lei e tante altre consimili sorelline sacre; e poi ancora oscenità come ‘il trenino del pellegrino’ o il ‘rosario in grani’ (santificante effervescente, principio attivo: la grazia di dio, contro la tiepidezza spirituale; toglie acidità e pesantezza di coscienza, cit. dal retro del barattolo).
In quale meandro delle circonvoluzioni cerebrali queste idee siano nate, cresciute e poi definitivamente partorite non ho potuto capirlo. Ma almeno ho indagato.

Ho concluso che il cristiano al di là dell’altare è una Mente Eletta, una Mens Oeconomica col saio, macchina fabbrica-soldi cullata dal Vaticano il cui sommo diletto è sperimentare santi metodi estirpa-piccioli al minchia medio di turno.

E allora tutti a giustificare gli offertori in ogni angolo del sacro ospedale di Padre Pio, a perorare benedizioni di massa attendendo festanti dietro code di chilometriche mezz’ore, e intanto a mangiare i buonissimi biscotti di Padre Pio (non pensate male, sono molto pregiati: ostia e mandorle) e a lanciare carrettate di soldi alla Chiesa e alla salma graziosamente riesumata (per estirpare meglio, bambina mia!) pur di vendere l’anima a Dio, degnissimo avversario di Satana.

Un giorno ho girato per delle calze, ma – sorpresa! – solo i Padre-Pio-Shops sono aperti, lì; se ti serve un paio di mutande, povero te, puoi morire senza. E su sette negozi con la scritta ‘cartoleria’ nessuno aveva un semplice foglio rosso. Ciò nondimeno, tutti vendevano i fogli col sant’uomo sopra, la penna chic di Padre Pio, il profumo trendy di Padre Pio, il foulard più cool del cool di chi? Di Padre Pio; e infiniti rosari lucenti e l’omìno barbuto e multiforme sbattuto ovunque. Ah, poi ovvio: le immancabili statue pluricolori-posizioni-misure e (news!) oggi anche elettriche.

Con mia somma delusione, anche il parentado è stato ipnotizzato dagli effluvi speziati del luogo sacro. Ho tentato con tutte le mie forze di galvanizzarlo, politicizzarlo, laicizzarlo; poi un giorno facevo pipì e mia nonna è scappata. Ha svaligiato il Pio-shop, felice per l’indulgenza plenaria ottenuta.

Io ho bevuto un Martini per reggere il colpo.
Grazie a Lui, ho capito: il cristiano al di qua dell’altare è una Mens Pinna.

Mens Pinna e Mens Oeconomica stanno in un rapporto di scambio; come con le puttane in vetrina ad Amsterdam: tu mi paghi e io ti fotto, però tu sei più felice; vuoi mettere? E’ un business meraviglioso.

Così, adesso ho la foto di Padre Pio benedicente dietro la porta di casa e rifletto sulla scusa da inventare per giustificarne la prossima sparizione. Ed il fatto che la Chiesa senza speculazione sia come un gin senza lemon, mi incoraggia a pensare che se resto disoccupata posso sempre tornare nell’amabile locus amoenus a vendere Durex XL fruttati e comodi perizoma rouges coi disegnini del Pius Sanctus.
Ora pro nobis.

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