Zeta Lab: l’importanza di “essere là dove le cose accadono”

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Il Laboratorio Zeta è anche la mia storia

Era l’autunno del 2003, da poco partecipavo all’organizzazione della Critical Mass a Palermo, scoprivo Linux e lo ZetaLab.
Avevo appena 18 anni e già da qualche anno partecipavo a riunioni di studenti per organizzare una risposta alla riforma Moratti. Quell’anno maturai la mia coscienza politica e la definizione di libertà che ad oggi mi porto ancora dentro.

Cominciai a frequentare il laboratorio Zeta, proprio perché sentivo che in quel luogo fisico convergevano le mie idee e le pratiche con cui le portavo avanti.
Spazi liberi per riunirsi, confrontarsi, approndire e crescere. Spazi liberi per tutti, ma non per tutto. Spazi per posteggiare le proprie bici al sicuro, spazi con dei pc per eliminare il digital divide che nel 2003 era ancora alto a Palermo. Io infatti frequentavo il collettivo Hacktung!, l’hacklab palermitano.

Prima dell’arrivo dei ragazzi sudanesi le cose erano diverse, c’era molta più anarchia e molti più anarchici, quindi nel posto c’erano troppe poche regole e ben presto si autodistrusse come sistema di gestione. Il punto di svolta fu proprio l’arrivo di questi ragazzi che portò troppa luce sullo Zeta costringendolo a riflettere su se stesso, e che determinò l’uscita di chi non voleva aprirsi a logiche istituzionali, necessarie per aiutare i rifugiati. Infatti non ci si poteva affidare più ad allacci illegali di luce ed acqua, ma bisognava dare una sistemazione stabile a quel luogo, ed evitare che i giovani africani approdassero all’illegalità come mezzo di sostentamento.
Qualcuno se ne andò con i suoi piedi, qualcun altro fu invitato ad allontanarsi; lo Zeta fece delle scelte, quella della solidarietà, quella di pensare anche all’altro, etica in conflitto con l’ideologia individualista dell’anarchico estremo.

Il laboratorio Zeta è spazio conquistato da gente con ideali, pronta a mettersi in discussione per portarle avanti, fino forse a diventare qualcosa di criticabile dal mondo dei centri sociali: lo Zeta è istituzionalizzato, è floscio. Gli occupanti dello Zeta rispondono con comunicati stampa e cortei, con proiezioni cinematografiche agli attacchi dei fascisti che la notte passando con i motori e le fionde per spaccare i vetri d’inverno, con le uova marce d’estate, quando dentro il centro sociale fa troppo caldo per parlare con serenità e ci si mette con le sedie sul marciapiede antistante (perchè lì si disturba meno il vicinato, a discapito del comodo e bel giardino dall’altro lato, troppo vicino ai residenti, che da sempre vengono rispettati).

Dopo la morte dell’Hacktung! quella stanza fu destinata agli ospiti, diventati poi occupanti in senso attivo, dell’ex asilo e io continuai a frequentare quel posto per le riunioni del PALUG (Palermo Linux User Group), che avvenivano ogni mercoledì sera, per due o tre lunghi anni, fino a quando non fu possibile allestire un internet point all’interno della biblioteca autogestita del Laboratorio Sociale.

Ricordo pure quando crollò il tetto dello Zeta e molti si improvvisarono “mastri” muratori, affiancando muratori professionisti per risparmiare e mantenere qul posto con una certa dignità (sarebbe stato più facile fare le valigie e occupare un altro posto).

Ricordo quando, dopo qualche anno, mi presentai ad una riunione di gestione per chiedere ospitalità per un evento atto a rilanciare la Critical Mass. Ci diedero subito la disponibilità per fare ciò che preferivamo.
Ovviamente la scelta fu qualcosa che andasse bene per tutti: apertivo vegetariano e dance hall gestita dallo Zeta con proiezione e banchetto informativo nostro, senza imposizioni nè da parte loro, nè da parte nostra, ma nel totale rispetto reciproco.

Il giorno del mio compleanno il regalo più brutto me lo ha fatto lo Stato, rapprensentato dalla Polizia, organo composto da uomini che per soldi e corrotte ideologie vanno contro altri uomini; hanno sgomberato lo Zeta e ancora peggio hanno arrestato Gandolfo Sausa, professore di religione che conosco da anni, perché impegnato da sempre in missioni in Africa, e hanno rotto il naso ad Andrea Cozzo, che non è solo un professore di greco, ma è anche uno degli esponenti contemporanei della nonviolenza in Italia. Me lo immagino fermo e tranquillo a subire la carica, perché non aveva commesso alcun torto per scappare, in fondo non aveva fatto nulla di male, e lo vedo chiedere il perché si accaniscano contro di lui, e so per certo, perché ho frequentato i suoi seminari e il suo laboratorio, che ha già perdonato i poliziotti.

Se l’ Amore vincerà sull’odio, lo Zeta verrà restituito ai palermitani.

Il Laboratorio Zeta è anche la mia storia ma anche quella loro

3 thoughts on “Zeta Lab: l’importanza di “essere là dove le cose accadono”

  1. Mi piace quello che hai scritto, è vissuto, è una testimonianza diretta. Per ora non sento altro che critiche allo Zeta, e infinite lagne sul fatto che l’occupazione non è un gesto legale. Però nessuno va a guardare, nessuno si preoccupa di documentarsi, parlano per posizione presa, per partiti, per cliche.
    Ecco cosa si perdono, dunque.
    Bravo Micheluzzo!

  2. Già, molto bello il tuo intervento. Capisco l’affetto di chi ha visto nascere, e poi crescere questo progetto. Capisco la rabbia che fa vederlo strappare con violenza.

  3. Post molto toccante e che fa capire quanto sia importante un centro come lo Zeta a Palermo. Concordo con Manu; di lamentele sulla questione ne ho sentite anche troppe e la maggior parte da gente che della storia non ne sapeva nulla. Le solite frasi fatte e luoghi comuni del tipo “I centri sociali sono bordelli!”.

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