Le délire parisien

Le délire est très lié au désir, délirer c’est désirer, on ne délire pas sur son père ou sa mère, on délire sur le monde entier, on délire sur l’histoire, la géographie, les tribus, les déserts, les peuples, les races, les climats, le monde du délire c’est “Je suis une bête un nègre” – Rimbaud -, on délire le monde pas sa petite famille. (G. Deleuze, Abecedaire)

 

I due si guardano, si scrutano, lei è commossa, lui è incredulo.
Lei è piccola, magrissima e  bassina, non porta tacchi. Lui è sobrio ma elegante.
I passanti non si accorgono di nulla, nessuno guarda, chi deve lavorare continua a farlo e chi compra le sigarette conta i centesimi e copre, con la mano, la raccapricciante immagine sul pacchetto che gli ricorda quanto lo Stato francese tenga alla sua salute.
Amélie guarda Mathieu, lo bacia sulla fronte, sulle guancie e sul naso. Lui, di rimando, sgrana gli occhi e scatta in avanti con violenza dandole una dolcissima testata sul naso. La lascia per terra sanguinante e va via indisturbato. 

Questo è quello che sogno nei miei deliri onirici. La realtà invece è molto peggio (o meglio?).

Kassovitz ha reso giustizia ad una città che non porta più il gradevole peso della belle époque e neanche il fascino verdognolo dell’Artemisia Absinthium.
Per Freud bisogna uccidere il Padre, per me bisogna uccidere Amélie. Senza dubbio.
L’odio diventa trasversale a Parigi, colpisce tutto e tutti e non si ferma mai. Prende forme differenti come un caleidoscopio che catalizza la luce e la trasforma continuamente, talvolta formando immagini sublimi, altre creando incubi tridimensionali, labirinti rifrangenti senza via d’uscita. Rompere il vetro in caso d’emergenza.

Una settimana di Gennaio, basta un solo movimento e le facce del caleidoscopico-diamante diventano specchi della mostruosità più deforme.
Si perde, finalmente, l’immagine di Parigi fatta di colesterolo burroso e berretti sbuffanti e si iniziano a vedere tutti quegli sputi sul marciapiede che di solito vengono omessi in postproduzione mentale.
Catalizzare tante civiltà, etnie e stili di vita può dar luogo agli incontri più sublimi come può rendere possibile un triplice omicidio nel cuore della città, precisamente il dieci Gennaio nel X arrondissement.
Quattro proiettili per tre donne. Nuca, testa, pancia. Tre militanti del Partîya Karkerén Kurdîstan (PKK) il partito dei lavoratori curdo. Sakine, Leyla e Fidan erano tre militanti attive all’interno del partito. Le piste sono svariate ma le modalità fanno pensare ad una esecuzione in piena regola.
Un partito clandestino armato, appoggiato dalle masse contadine curde della Turchia, non ha vita facile. Neanche in una città come Parigi, che inaugura il 2013 facendosi scenario di eventi che hanno radici lontane. Microcosmi atomizzati che si fondono in una metropoli.

Intanto soldati francesi iniziano a partire: il Mali, i terroristi, la guerra. A ciascuno il proprio Santo Graal, a ciascuno i propri nemici.

Il Terrore-ci-terrorizza ma lo-Stato-ci-ama. E ci protegge.
Non sta bene parlare di ‘colonie’, non è buona educazione dire ‘negro’ (tranne se lo fa Tarantino) e non bisogna mai dichiarare guerra a nessuno. Si libera, si salva, si aiuta. Non si deve mai invadere.

La Cina, senza fare troppo rumore, inizia a delocalizzare le proprie imprese: finalmente anche lei potrà godere dei fasti del capitalismo industriale nel suo stato più avanzato.

I senzatetto parigini sono sempre di più e meglio organizzati, le cabine del telefono diventano piccoli monolocali appannati da un metro quadro – raccolto, intimo, vista centro e telefono in camera – e le fabbriche non smettono neanche un secondo di sbuffare fumo grigio.
“Il” métro arriva sempre in orario e Queneau, pace all’anima sua, non troverebbe posto neanche in piedi.

One thought on “Le délire parisien

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.